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L&G: Perché l’azionario europeo potrebbe essere una trappola

Simon Bell, Rates and Inflation Assistance Portfolio Manager di L&G
 
L&G: Perché l’azionario europeo potrebbe essere una trappola
L’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti ha rappresentato un punto di svolta significativo anche per l’azionario europeo. La sua rigida agenda politica, fatta di dazi, revisione degli apporti in materia di sicurezza nei confronti della NATO e di forti sostegni governativi alle principali società tech americane, è stata accolta come una grande sfida per le aziende del Vecchio Continente. Ciò ha ridotto le valutazioni azionarie, rendendole particolarmente convenienti rispetto alla controparte d’oltreoceano, anche a seguito delle elezioni presidenziali che non hanno generato quell’incertezza nei risultati che molti temevano, e ha spinto molti investitori globali ad aumentare la loro esposizione verso l’asset class.

Bisogna aggiungere che la persistente sovraperformance delle azioni statunitense degli ultimi 15 anni è stata generata non solo da meriti evidenti del mercato locale, ma anche da una narrativa secondo la quale non vi erano delle vere alternative. L’Europa ha trascorso l’ultimo decennio in un mix di austerità e populismo e lo scoppio della guerra in Ucraina ne ha affossato fortemente l’appetibilità. Ma anche la Cina ha avuto i suoi problemi, avendo dovuto trascorrere lo stesso arco temporale a combattere contro la deflazione, soprattutto nel ramo immobiliare, dopo anni di costruzioni eccessive. Pertanto, non c’è da stupirsi se per anni la strategia degli investitori è stata sostanzialmente: “more of the same”.

Purtroppo, questa predisposizione ha anche fatto sì che tutti i player di mercato sottovalutassero ciò che Trump intendeva quando si definiva un rivoluzionario. In particolare, nel caso dell’Europa, la seconda venuta del tycoon potrebbe essere vista come un defibrillatore, che ha spinto – e probabilmente spingerà – i politici locali a prendere delle decisioni che in tempi “normali” forse non sarebbero state neanche prese in considerazione. Un esempio è sicuramente la decisione della Germania di rivedere i vincoli sull’indebitamento nazionale al fine di poter investire più risorse in infrastrutture per un trilione di euro in 10 anni; l’equivalente del 23% del Pil. Sul fronte cinese, alla luce dei dazi che gli States hanno applicato, si è assistito a sempre maggiori misure volte a stimolare i consumi interni, a scapito di quelli esteri.

Tutto ciò ha portato allo sviluppo di narrative alterative, secondo le quali l’unica cosa eccezionale delle azioni Usa erano le loro valutazioni estremamente più alte di quelle dei loro corrispettivi.

E quindi cosa dovremo aspettarci adesso? Da dicembre ad oggi il DAX ha sovraperformato il Nasdaq di circa il 20%, mentre lo sconto di valutazione della Germania si attesta attorno al 15%, con i dati di Bank of America che suggeriscono uno dei maggiori sovrappesi netti nelle azioni europee visti nell’ultimo decennio.

Ciò pone l’Euro equity in una posizione che poche volte si è osservata, in cui le aspettative sono elevate, imponendo però che gli utili soddisfino queste aspettative. Tuttavia, da inizio anno, nonostante il rally del 15%, le previsioni sugli utili per il 2025 si sono contratte. Ciò che ha sostenuto il mercato azionario statunitense negli ultimi 15 anni è stata la straordinaria capacità di generare rendimenti positivi, e poco importa se parte di questi sono dovuti anche a consistenti operazioni di buyback e da misure fiscali favorevoli. Sebbene il contesto fiscale europeo sia cambiato notevolmente in favore della crescita, tradurlo in rendimenti per gli azionisti sarà tutt'altro che semplice.
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