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La nuova normalità del reddito fisso tra inflazione, crisi del debito e politiche monetarie

di Nigel Jenkins, Responsabile obbligazionario mandati globali di Payden & Rygel
 
La nuova normalità del reddito fisso tra inflazione, crisi del debito e politiche monetarie
La prima metà del 2025 è stata caratterizzata da forti oscillazioni sui mercati obbligazionari globali. Basti pensare ai rendimenti dei Treasury Usa a 10 anni, uno dei principali indicatori da monitorare per il reddito fisso, che, all'interno di un intervallo compreso tra il 3,5% e il 5%, hanno registrato la volatilità più elevata degli ultimi trent’anni, persino superiore a quella vista durante la crisi finanziaria globale. Valori che sorprendono, soprattutto alla luce della politica della Federal Reserve, che ha iniziato a tagliare i tassi d’interesse ma, al momento, soltanto di 100 punti base. Sullo sfondo, a contrasto, si staglia l’ottima performance dei mercati azionari, con l’S&P 500, l’Euro Stoxx 50 e il FTSE 100 che hanno messo a segno, rispettivamente, rialzi del +50%, del +40% e del +30%.

Al momento, il mercato sembra non aver ancora capito quale sia la “nuova normalità” per i rendimenti reali, sia nella parte breve che in quella lunga delle curve, anche se, a nostro avviso, l’epoca dei rendimenti reali negativi dovrebbe appartenere ormai al passato. Il mercato è quindi alla ricerca di un baricentro, mentre sta provando a capire se l’ondata di inflazione sia stata effettivamente transitoria oppure se, per il futuro, ci si debba attendere un livello generale dei prezzi stabilmente più elevato. A questo si aggiungano gli enormi oneri del debito pubblico ovunque nel mondo – e, in particolare, negli Stati Uniti, che sono alle prese con un deficit di bilancio pari al 7% circa del Pil, praticamente al culmine del ciclo economico – e l'instabilità politica, con uno spostamento verso destra della maggior parte dei governi occidentali, che porterà inevitabilmente a politiche più autoriferite e orientate verso gli interessi della singola nazione, ponendo interrogativi su quale sarà la sorte del mercato dei titoli di Stato e del dollaro. Oggi, gli investitori stanno giustamente mettendo in discussione la correlazione negativa – finora dimostratasi abbastanza affidabile – tra dollaro e titoli di Stato, da una parte, e asset rischiosi, come azioni o spread di credito, dall’altra. La logica alla base del tradizionale portafoglio 60/40, secondo cui i primi tenderebbero a rafforzarsi nei momenti di debolezza dei mercati azionari, è sempre stata un pilastro della diversificazione, ma oggi comincia a mostrare qualche crepa. L’utilizzo dei Treasury e dei dollari come copertura del rischio azionario e del rischio di credito è messo sempre più in dubbio. Certo, sarà difficile che il Biglietto Verde perda improvvisamente il suo status di valuta di riserva, dal momento che per ora non sembrano esserci candidati a sostituirlo, ma nei prossimi dieci-quindici anni il suo primato potrebbe indebolirsi.  

Crediamo che la volatilità sui mercati obbligazionari sia destinata a continuare: la direzione in cui si evolverà il percorso dell’inflazione non è ancora chiara, l’insoddisfazione degli elettori potrebbe portare all’insorgere di altri movimenti populisti e gli investitori stentano a capire quale sarà il nuovo livello di normalità per i tassi reali. Dal canto nostro, ci sforziamo di rimanere il più flessibili possibile e di monitorare regolarmente i movimenti del reddito fisso. Sul fronte della politica monetaria, riteniamo che la Fed sia più propensa a tagliare i tassi d'interesse di quanto non lasci intendere attualmente e prevediamo fino a tre o quattro tagli entro la fine dell’anno, contro i due prezzati dal mercato. Una previsione compatibile con il nostro caso base di un ambiente di crescita un po' più lento, con un’inflazione contenuta e un probabile irripidimento delle curve dei rendimenti nei prossimi mesi.

Rispetto al mercato dei tassi, quello del credito ha mostrato una maggiore stabilità nell’ultimo periodo, con livelli di volatilità straordinariamente contenuti, che hanno portato gli investitori a ricredersi su questo comparto, rispetto al periodo dei tassi d'interesse ultra-bassi. Dal punto di vista degli spread, la remunerazione per operare sui mercati del credito non è necessariamente elevata, con i differenziali storici di rendimento vicini all'estremità più stretta dell'intervallo. Se si osservano i mercati del credito dal punto di vista dei ritorni complessivi, però, si nota come scambino all'estremità superiore dell’intervallo da dieci anni a questa parte. Questo potrebbe essere il motivo, insieme al calo dell'inflazione, a una crescita strutturale più bassa e a fondamentali sani, per cui gli investitori hanno iniziato a guardare a questa asset class. Anche la dinamica della domanda e dell'offerta nei mercati del credito è interessante: grazie alle alternative ai mercati pubblici del credito, attraverso i canali privati, gli emittenti hanno avuto accesso a diversi tipi di finanziamento e non si è visto il livello di emissioni che ci si sarebbe aspettati. Con un’offerta insufficiente rispetto alla domanda, in questo momento anche i fattori tecnici sono molto forti nei mercati del credito. Esiste un'infinità di elementi che giustificano il modo di operare di questi mercati, ma anche qui, in un ambiente caratterizzato da un livello di instabilità strutturalmente più elevato, sarà fondamentale rimanere il più aperti e flessibili possibile. Per il momento, privilegiamo le parti più liquide e di qualità superiore del credito, cercando di non essere troppo ancorati alle nostre posizioni e di adattarle in base al flusso di notizie, poiché negli ultimi anni i mercati ci hanno dimostrato quanto il vento possa cambiare in fretta.
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