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Ofi Invest AM: Come i dazi potrebbero trasformarsi in un assist per la Cina

di Jean-Marie Mercadal, CEO di Syncicap (partecipata Ofi Invest)
 
Ofi Invest AM: Come i dazi potrebbero trasformarsi in un assist per la Cina
Ormai i media hanno descritto in tutti i modi gli effetti sugli asset statunitensi della decisione di Donald Trump di aumentare repentinamente i dazi per poi venire a più miti consigli una volta preso atto della magnitudo delle conseguenze. Tuttavia, in pochi si sono soffermati sugli effetti che questi hanno avuto sulla Cina, che dovrebbe essere uno dei principali bersagli, se non il principale, della politica commerciale aggressiva del tycoon.

Prima di procedere, però, è opportuno essere chiari su alcuni aspetti: quello del presidente Trump è un gioco molto rischioso, che volta le spalle a decenni di globalizzazione degli scambi commerciali, ma ha alla base una serie di obiettivi ben precisi. Tra questi rientrano il generare reddito per gli Stati Uniti (il quale dovrebbe poi andare a sostenere il taglio delle tasse), ridurre il deficit, reindustrializzare il paese e, come detto, indebolire la Cina. Per dire se questa strategia avrà effettivamente senso nel lungo periodo è ancora troppo presto per dirlo, ma nel breve, la sua attuazione molto caotica al momento sembra solo aver drasticamente ridotto la visibilità sui mercati a tutti i livelli, nonostante sembra ci si stia avviando verso una fase di negoziazioni bilaterali.

Venendo ora ai mercati asiatici, i provvedimenti presi nel “Liberation Day” hanno generato più volatilità qui che altrove, essendo l’Asia il centro del commercio globale. Infatti, le esportazioni verso l’America rappresentano una grossa fetta del Pil per molte nazioni; basta pensare al Vietnam o alla Thailandia. Tuttavia, questo è meno vero per la Cina, per la quale l’export verso gli States è andato contraendosi negli anni a partire dal 2018.

Ciò non significa che non abbia un peso, infatti rappresenta ancora circa il 3% del Pil di Pechino, oltre che un surplus commerciale di 350 miliardi di dollari, e se le due potenze non dovessero trovare un accordo e i tassi tornassero al 137% o al 147%, allora possiamo immaginare che gli scambi collasserebbero. Ciò potrebbe essere il motivo per cui la Cina ha reagito con immediate rappresaglie, tra cui elevate imposte sui prodotti statunitensi e restrizioni sulle esportazioni di terre rare. Attraverso il suo atteggiamento risolutamente fermo, la Cina vuole mostrare un'immagine di stabilità e rispetto del diritto commerciale internazionale, oltre che presentarsi come un partner affidabile in un momento in cui cerca di attirare un maggiore ammontare di investimenti dall’estero. Inoltre, si osserva anche una certa consapevolezza della sua attuale forza manifatturiera. Il primato assunto negli ultimi anni in questo settore rende la value chain cinese un elemento imprescindibile nel breve termine.

A questo punto, noi di Ofi Invest riteniamo che ci siano due scenari probabili (o una combinazione dei due):

1) Il dialogo porterà a un accordo definitivo e a un conseguente abbassamento permanente dei dazi

2) I dazi torneranno in vigore e la Cina cercherà di sterilizzarne l’effetto attraverso un nuovo pacchetto di stimoli fiscali
 
Su questo secondo punto, la cui portata dipende ovviamente dai risultati dei colloqui con Washington, si è espresso il primo ministro Li Qiang, il quale ha affermato che il Dragone asiatico è perfettamente in grado di difendersi attraverso il taglio dei tassi e i livelli minimi di riserve imposti alle banche.

Inoltre, dal punto di vista di Pechino, questo potrebbe essere addirittura un assist per dare un’ulteriore spinta al nuovo modello di crescita che sta perseguendo, il quale punta alla ripresa dei consumi interni e una minore dipendenza dalle esportazioni. Ad oggi, le stime dicono che per raggiungere questo obiettivo servirebbe un piano da 2mila miliardi di yuan (circa l’1,5% del Pil cinese).

In ogni caso, indipendentemente da quale dei due scenari si realizzerà, l’azionario locale sembra ben posizionato per trarne benefici. Infatti, non solo la Cina (assieme all’India) è un mercato in cui operano pochi azionisti internazionali, ma è anche un esportatore principalmente di servizi e meno di merci industriali o agricole come invece sono molti mercati asiatici. Infine, il P/E ratio dell'MSCI China è pari a circa 11,5, con una previsione di aumento degli utili dal 7% all'8% nel 2025.
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