Attualità

“Proteggere il futuro” di Luca Dal Fabbro, tra pragmatismo industriale e visione strategica

di Demetrio Rodinò
 
“Proteggere il futuro” di Luca Dal Fabbro, tra pragmatismo industriale e visione strategica
È stato presentato oggi a Roma, presso la Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, alla presenza di importanti figure istituzionali come Gilberto Pichetto Fratin, Renato Loiero e Giampiero Massolo, “Proteggere il futuro”, il nuovo libro di Luca Dal Fabbro, presidente del Gruppo Iren, edito da Rubbettino. Un titolo che si propone  e riesce - a offrire una bussola concettuale in un tempo dominato da incertezze, trasformazioni e nuove sfide epocali.

Il volume si muove tra saggio e guida operativa, analizzando tre transizioni ormai inscindibili – energetica, digitale e geopolitica – e proponendo un framework analitico solido per comprenderne gli intrecci. Il cuore del libro è il concetto di triplice transizione, che Dal Fabbro affronta con un approccio né ideologico né utopico, ma lucido e sistemico: “Il mondo non è più governato da un ordine definito. E l’illusione che le istituzioni internazionali potessero bastare a garantire stabilità è ormai superata” - si legge nella prefazione di Massolo.

Dal Fabbro costruisce un impianto teorico e pratico fondato su tre pilastri essenziali: competitività economica, sicurezza multidimensionale e resilienza ambientale. Questo schema evolve il tradizionale “trilemma energetico” in una versione estesa e aggiornata, necessaria per orientarsi nel caos attuale. Il messaggio è chiaro: occorre una politica industriale nuova, capace di rendere l’Europa meno vulnerabile e più protagonista .

Non manca un’analisi rigorosa delle vulnerabilità europee, a partire dall’assenza di materie prime critiche, dalla dipendenza tecnologica, fino alla debolezza militare. Se l’America si prepara a un reshoring strategico e la Cina detta l’agenda della globalizzazione selettiva, l’Europa, osserva Dal Fabbro, deve decidere se essere “erbivora, carnivora o onnivora” in uno scenario sempre più darwiniano .

Il libro si apre con una diagnosi severa ma lucida: stiamo vivendo una fase di discontinuità storica, dove la digitalizzazione, la transizione ecologica e la deglobalizzazione stanno ridefinendo tutto – dalle supply chain al ruolo degli Stati. L’autore dedica ampio spazio anche alla dimensione ambientale e sociale di questi processi, sottolineando come la decarbonizzazione, pur necessaria, rischi di generare nuove dipendenze strategiche (ad esempio nei confronti della Cina per terre rare, batterie e tecnologie verdi) .

Sul fronte digitale, l’allarme è chiaro: “Il cyberspazio è il nuovo campo di battaglia, e la sovranità sui dati diventerà cruciale quanto quella sulle frontiere fisiche.” Il libro non risparmia analisi tecniche sui rischi della concentrazione delle piattaforme, dell’obsolescenza tecnologica e della crescente pressione sulle risorse energetiche e idriche causata dai data center e dai modelli IA sempre più energivori .

Ciò che rende "Proteggere il futuro" un’opera di rilievo nel panorama editoriale contemporaneo è la sua capacità di parlare a pubblici diversi: dal decisore politico al manager, dallo studente di economia al cittadino consapevole. La scrittura è accessibile ma densa di contenuto; le proposte sono pragmatiche, radicate nell’attualità e proiettate al futuro. Il volume non ha la pretesa di offrire soluzioni preconfezionate, ma di porre le domande giuste. E sono domande tutt’altro che retoriche: è sostenibile decarbonizzare senza compromettere la competitività? Qual è il prezzo strategico dell’autonomia tecnologica? Possiamo permetterci di non avere campioni europei nell’IA o nella cybersecurity?

“Proteggere il futuro” è un libro necessario. Un’opera di frontiera, che si colloca tra geopolitica, economia e visione industriale, e che invita a guardare oltre le contingenze. Come ricorda lo stesso autore: “La più importante trasformazione sarà nella nostra capacità come esseri umani di immaginare nuove soluzioni per le sfide che si presenteranno sempre più serrate.

In un tempo in cui i manuali si moltiplicano ma le visioni si fanno rare, il lavoro di Dal Fabbro rappresenta un punto di partenza per un dibattito che l’Italia - e l’Europa - non possono più permettersi di rimandare.
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