Il primo trimestre del 2025 si è rivelato molto diverso da quanto il consensus si aspettava ad inizio anno, ovvero che l'eccezionalismo statunitense sarebbe continuato e che la nuova amministrazione Trump sarebbe stata favorevole ai mercati. La realtà, invece, è stata che i mercati statunitensi hanno registrato una notevole sottoperformance, mentre l'Europa e le azioni asiatiche hanno registrato un periodo di solide performance.
A cambiare l'umore del mercato negli ultimi tre mesi sono stati principalmente tre fattori.
In primis, le politiche della nuova amministrazione sono state molto meno favorevoli al mercato di quanto previsto. L'agenda politica si è concentrata sui dazi piuttosto che sui tagli alle tasse o sulla deregolamentazione. È apparso chiaro fin da subito che l’amministrazione Trump 2.0 sarebbe stata ben diversa dalla precedente, ed il susseguirsi dei provvedimenti politici ha fatto sì che dovessimo attendere le iniziative in grado di rilanciare la crescita e il sentiment del mercato.
In secondo luogo, il debutto del modello cinese di AI DeepSeek ha scosso la narrativa sull'intelligenza artificiale e sulla spesa in conto capitale (capex) necessaria per costruire modelli linguistici di grandi dimensioni. Ciò ha portato ad interrogarsi sulle ingenti spese sostenute da molte large cap tecnologiche statunitensi e su come queste possano essere monetizzate in futuro.
Il terzo fattore riguarda i grandi cambiamenti geopolitici, con l'alleanza transatlantica messa in discussione dalla gestione dell'amministrazione americana dei primi colloqui di pace sull'Ucraina. L'Europa si sta preparando per un aumento significativo della spesa per la difesa e abbiamo assistito ad un enorme cambiamento nella politica fiscale tedesca, con stimoli sostanziali all'orizzonte. Negli ultimi cinque anni, la spesa pubblica alimentata dai disavanzi è stata uno dei principali motori della crescita statunitense, mentre l'Europa è stata molto più austera. Forse ora la situazione si sta ribaltando.
In prospettiva, il commercio globale e l'implementazione delle tariffe da parte del governo statunitense saranno probabilmente il motore principale dei mercati finanziari e delle economie. L'annuncio di una tariffa globale del 10% e di ulteriori tariffe reciproche nei confronti di molti Paesi è andato ben oltre le previsioni. Questi dazi rappresentano un rischio al ribasso per la crescita statunitense e globale, e al rialzo per l'inflazione. Esiste anche un potenziale di escalation in caso di ritorsione da parte dei partner commerciali degli Stati Uniti. Non conosciamo ancora quale sarà effettivamente la “landing zone” di queste tariffe, ma sappiamo che più a lungo si protrae l'incertezza, maggiori diventano i rischi di ribasso per la crescita economica. È possibile che l'attuale debolezza dei dati economici, come i sondaggi sul sentiment, inizi a riflettersi sui dati relativi all'occupazione e al PIL.
Per il momento lo scenario economico è relativamente favorevole, con l'economia statunitense ancora in forma e l'Europa in ripresa grazie alla prospettiva di un aumento della spesa pubblica. Ma l'ottimismo sulle prospettive potrebbe essere attenuato dalla persistente incertezza sui dazi e sul loro impatto su crescita, inflazione e utili societari.
La realtà è che rimaniamo in una sorta di vuoto di informazioni, anche se ora possiamo escludere che gli Stati Uniti abbiano una visione indulgente in termini di tariffe. I mercati si sono mossi al ribasso, ma sembra ancora prevalere l'opinione che questi livelli tariffari iniziali potrebbero non corrispondere al livello finale.
In assenza di informazioni più definitive e di una posizione politica del governo statunitense basata più sull'ideologia e la retorica che sulla strategia economica, è probabile che le incognite continuino a pesare sulla propensione al rischio fino a quando non sarà possibile individuare un risultato più definitivo sull'entità, la portata e la durata di queste tariffe.