In un laboratorio immerso nel cuore del Texas, tra provette, sequenziatori e uno zelo che sa di epopea prometeica, è avvenuta una delle più controverse resurrezioni della storia recente: quella del “lupo terribile”, una creatura estinta da circa 10.000 anni.
Il ritorno del lupo terribile: il sottile confine tra progresso scientifico e hybris
A darne notizia è la statunitense Colossal Biosciences, la stessa azienda biotecnologica che ha dichiarato di voler riportare in vita il mammut lanoso entro il 2028. Ma al di là del clamore mediatico e del fascino paleogenetico, questa nuova era del ''giocare a Dio'' solleva interrogativi che la scienza stessa, in tutta la sua razionalità, non può più eludere. L’annuncio è stato divulgato in esclusiva da ABC News, che ha avuto accesso al laboratorio dove la creatura è stata concepita e portata alla luce.
''Ero assolutamente certa che avrebbe funzionato'', ha dichiarato Beth Shapiro, scienziata capo di Colossal, ai microfoni dell’emittente. ''Quando li ho visti nascere ed erano bianchi, ho pensato: ce l’abbiamo fatta. Quelli sono lupi terribili''. A quanto riferisce l’azienda, il procedimento si è fondato sull’estrazione e sul sequenziamento del DNA da due fossili di Canis dirus, il nome scientifico del leggendario predatore. Da lì, il genoma è stato integrato in cellule di lupo grigio, una specie attuale geneticamente prossima. "Abbiamo preso un genoma di lupo grigio, già geneticamente identico al 99,5% ai lupi terribili, e lo abbiamo modificato in più punti per contenere la versione ancestrale del DNA'', ha spiegato Shapiro.
Il risultato? Tre esemplari nati grazie a madri surrogate canine, adottate successivamente dalla Humane Society: due maschi, Romolo e Remo, e una femmina, Khaleesi. I nomi, sospesi tra mitologia classica e cultura pop, evocano già il senso di spettacolarizzazione che circonda questa impresa, come se la scienza avesse ormai abbracciato le regole del marketing.
Ma cosa significa davvero "resuscitare" una specie estinta? Il termine stesso ha un che di teologico, e non a caso molti scienziati si interrogano sulla liceità, oltre che sull’efficacia, di tali esperimenti. La dottoressa Julie Meachen, paleobiologa e co-autrice insieme a Shapiro di uno studio del 2021 che ha dimostrato la divergenza evolutiva tra lupi grigi e lupi terribili risalente a milioni di anni fa, ha espresso un netto scetticismo: "Non credo che siano realmente lupi terribili'', ha dichiarato ad ABC. “Quello che abbiamo è qualcosa di nuovo: un lupo grigio modificato che assomiglia a un lupo terribile''.
Una posizione, la sua, che introduce un elemento di fondamentale importanza: la differenza tra simulacro e realtà biologica. Un essere che ''assomiglia'' non è necessariamente ''ciò che era''. E mentre Colossal avanza sicura nella propria narrazione di rinascita, il sospetto che ci si trovi dinanzi a un’illusione genetica ben confezionata si fa sempre più ingombrante. "Penso che la migliore definizione di una specie sia questa: se assomiglia a quella specie, se si comporta come quella specie, se svolge il ruolo di quella specie, allora ce l’hai fatta'', ribatte Shapiro, con una sicurezza che tuttavia sfiora il relativismo scientifico. Una definizione funzionale, ma pericolosamente plastica, soprattutto in un contesto in cui gli equilibri ecologici sono già fragili.
Non mancano poi le riflessioni più etiche e pragmatiche. A sollevare la questione con sobria fermezza è ancora una volta Meachen: "È solo per puro intrattenimento?'', ha domandato, non senza amarezza. “La missione di aiutare a preservare le specie viventi e salvarle dall’orlo dell’estinzione è una missione incredibilmente ammirevole. È una missione che potrei sostenere al 100%''.
Una riflessione, questa, che colpisce al cuore uno dei più grandi paradossi del nostro tempo: l’essere umano, mentre lascia morire ecosistemi, invertebrati impollinatori, anfibi e intere foreste, investe miliardi per riportare in vita animali estinti. Colossal, del resto, non è un ente filantropico, come chiarito dal suo CEO Ben Lamm: "Non siamo una fondazione, non siamo un’organizzazione non-profit, non siamo un think tank accademico. Stiamo cercando di sviluppare prodotti e costruire tecnologie'', ha detto ad ABC. Tra i finanziatori dell’azienda figurano celebrità come Tom Brady, Tiger Woods, Paris Hilton e il regista Peter Jackson. Nomi che sembrano suggerire più un set hollywoodiano che un consesso scientifico.
A questo punto, una domanda sorge spontanea, per dirla col buon Antonio Lubrano: è davvero questa la frontiera della biotecnologia? Una messinscena in chiave genetica del mondo perduto, un affascinante revival della preistoria finalizzato più al ritorno economico che alla tutela della biodiversità? Se la risposta dovesse confermarsi affermativa, allora non ci troveremmo più dinanzi a un’impresa scientifica, ma a un prodotto da palcoscenico, a un'evoluzione ridotta a spettacolo.
In tale cornice, l’ombra dell’hybris, l’antica arroganza dell’uomo che osa sfidare i limiti imposti dalla natura e dagli dei, si fa sempre più ingombrante e oscura nel racconto della Colossal, insinuandosi tra i codici genetici e le logiche di mercato con una disinvoltura che lascia interdetti. E non solo noi.
Preoccupazione, ad esempio, ha espresso anche il dottor Robert Klitzman, bioeticista della Columbia University: "Bisogna stare attenti se si sta giocando con i geni, perché potrebbero esserci cose che non capiamo'', ha dichiarato avvertendo che ''si potrebbe produrre un lupo che è due volte più feroce. O un super ratto, o un super topo che mangia tutto ciò che vede''.
Il monito è chiaro: la genetica non è un giocattolo, e ogni modifica, anche la più marginale, può scatenare reazioni a catena in ambienti già provati da mutamenti climatici, inquinamento e perdita di biodiversità.
È in questo cortocircuito tra fascino e pericolo, tra ambizione e insensatezza, che si colloca l’attività di Colossal. L’azienda sta già collaborando con lo Stato del Dakota del Nord per salvare la popolazione di bisonti, e spera di espandere il suo raggio d’azione anche in campo sanitario. ''Questo tipo di tecnologia, man mano che diventerà più ampiamente disponibile, porterà enormi benefici alla conservazione della biodiversità'', afferma ancora Shapiro. Tuttavia, l’interrogativo rimane: è giusto investire risorse così ingenti per ricreare simulacri del passato, quando il presente chiede a gran voce soluzioni a crisi tangibili e attuali?
''La scelta di non sfruttare queste tecnologie ha anch’essa conseguenze'', ribadisce Shapiro, in un’affermazione che lascia trasparire una visione binaria: o rischiare, o rinunciare. Ma forse esiste una terza via, più cauta, più umile, più responsabile. In fondo, ciò che più inquieta non è il ritorno del lupo terribile, ma l’idea che l’essere umano possa, senza limiti né direzione, riscrivere la storia naturale in nome del proprio capriccio. E se un giorno, a guardarsi allo specchio, dovesse scoprire di aver riportato in vita non i fantasmi del passato, ma i propri incubi, sarà troppo tardi per tornare indietro.