Cultura

Roma riscopre il suo legame con il grande schermo: nasce il comitato per la rinascita dei vecchi cinema

Redazione
 
Roma riscopre il suo legame con il grande schermo: nasce il comitato per la rinascita dei vecchi cinema

Il Comitato Sos Sale Cinematografiche di Roma si è costituito in modo informale: vi hanno aderito do.co.mo.mo., IN/ARCH Lazio, associazioni, esponenti dello spettacolo, giornalisti, professionisti, cittadini e architetti. Capofila, Italia Nostra Roma. L’obiettivo dichiarato è la salvaguardia delle sale cinematografiche romane, in particolare le 41 chiuse da oltre dieci anni a rischio di demolizione per la Legge Regionale 171, il cui iter è in corso nonostante il recente cambio di delega all’urbanistica, passata dall’assessore Pasquale Ciacciarelli a Giuseppe Schiboni (in foto).

Roma riscopre il suo legame con il grande schermo: nasce il comitato per la rinascita dei vecchi cinema

È una salvaguardia allargata che, partendo dall’edificio, coinvolge la funzione della sala, e, in parte, il settore cinema. Dal punto di vista architettonico la sala cinematografica, esterna e interna, va considerata non come opera isolata ma come un insieme di opere analoghe, realizzate da differenti autori, accomunate da un clima culturale condiviso. Ogni opera acquisisce importanza storica non solo in sé, ma in relazione alle altre permettendo una lettura dell’insieme. Tutte, collettivamente, mettono in evidenza un segmento significativo del patrimonio artistico e culturale romano del Novecento da preservare.

Per conservare un edificio che ha perso la sua funzione mancando il sostentamento economico è necessario riflettere concretamente sul significato di una sala cinematografica: attività commerciale d’intrattenimento pubblico dove edificio e film esistono perché vivono indissolubilmente uno in funzione dell’altro ed entrambi in funzione del pubblico, unico cliente di quest’attività. Quando uno di questi tre componenti viene a mancare, viene meno la sala cinematografica. A Roma, nel dopoguerra, il cinema era vissuto come unico momento di svago, dove poter incontrare nuove persone o i propri amici, oltre al bar e alla messa domenicale. Un punto di riferimento del quartiere ma tutto questo oggi non esiste più.

Le sale cinematografiche erano un’attività redditizia negli anni Cinquanta, progettate da architetti come Adalberto Libera, Marcello Piacentini, Innocenzo Sabbatini e ingegneri come Riccardo Morandi, realizzate nella città parallelamente alla sua espansione del boom economico. La qualità architettonica di molte di esse è altissima, nascono l’Airone, il Maestoso, due esempi di un settore che si è sviluppato divenendo storia della città. È bene ricordare che l’Italia, culla della bellezza e dell’ingegno, ha collezionato nel tempo 14 Oscar a Hollywood, 11 Leoni d’Oro a Venezia, 12 Palme d’Oro a Cannes e 10 Orsi d’Oro a Berlino, trionfi mondiali ottenuti attraverso quella che Ricciotto Canudo nel 1921 definì la settima arte.

Negli anni d’oro del secondo dopoguerra, Roma poteva contare su oltre duecento sale cinematografiche, senza contare i cineclub d’essai e le sale parrocchiali, che in tutta Italia erano circa seicento. Inseriti quasi sempre al piano terra dei palazzi urbani, questi cinema accoglievano in media ottocento spettatori ciascuno: era un’esperienza popolare, diffusa, totalizzante. Dalla metà degli anni Ottanta, l’introduzione delle multisale ha segnato un cambio di paradigma: più schermi, più titoli, più biglietti. Un modello che ha moltiplicato l’offerta ma svuotato di identità gli spazi, sacrificando il linguaggio architettonico delle grandi monosale, quelle da duemila posti come il Giulio Cesare o il Maestoso, non più sostenibili economicamente.

Eppure il valore culturale di tali luoghi è riconosciuto anche istituzionalmente, come nel caso del cinema America, la cui tutela da parte del Ministero dei Beni Culturali si fonda non solo sulla decorazione ma sulla tipologia architettonica della sala monoschermo, emblema della fruizione cinematografica popolare. Troppo riduttivo attribuire la crisi delle sale alla proliferazione di televisioni, piattaforme digitali e streaming. Già nel 1960 uno studio della SIAE evidenziava come la motorizzazione privata e la crescita dei redditi, con il conseguente ampliamento delle opportunità di svago, avessero iniziato a distogliere il pubblico dalla magia del grande schermo. Roma rappresenta oggi un caso complesso e significativo: secondo alcune stime, la città conta 77 cinema attivi, 43 chiusi, 60 trasformati in altro.

Di fronte a questo panorama, e considerando l’indiscutibile valore storico-architettonico degli edifici, si impone la necessità di un piano urbano di recupero delle sale cinematografiche, come auspicato dalla Direttiva ministeriale del 26 agosto 2014.
Gli strumenti non mancano: studi, pubblicazioni, tesi di laurea, e opere come Fantasmi Urbani. La memoria dei cinema di Roma di Silvano Curcio. Occorre però partire da un censimento sistematico, che individui le sale non utilizzate, ne rilevi la proprietà e le caratteristiche strutturali e architettoniche, avvalendosi, per esempio, della scheda di catalogazione del Do.co.mo.mo., dedicata alla documentazione e alla conservazione del patrimonio moderno. Un dialogo costruttivo con i proprietari potrebbe dar vita a un piano di intervento su misura, con linee guida coerenti con i contesti urbani e un programma di manutenzione puntuale, pensato caso per caso. Un piano ben strutturato contribuirebbe a far conoscere e dunque a preservare questi luoghi, evitando generalizzazioni normative che rischiano di ridurre tutto a percentuali e demolizioni, laddove invece è necessario un approccio individuale e una precisa visione culturale.

Fondamentale, ovviamente, sarà la disponibilità di risorse economiche: ristrutturare una sala per adattarla alle esigenze contemporanee, magari con una programmazione multiforme, è un’impresa onerosa. Può essere allora il momento per ripensare i rapporti tra produzione, distribuzione ed esercizio, incentivare una distribuzione più ampia e diversificata, stabilire una permanenza più lunga dei film in sala e aggiornare i criteri del tax credit. Occorrono nuove idee di gestione, capaci di riportare il pubblico dentro la magia irripetibile della visione collettiva. Gli architetti, in questo processo, hanno una responsabilità cruciale: intervenire con rispetto, senza mai cancellare la memoria profonda e stratificata di luoghi che non sono solo contenitori, ma testimoni vivi della nostra identità culturale.

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