La vicenda (giudiziaria) dei gioielli dei Savoia, custoditi da quasi otto decenni nel caveau della Banca d’Italia, si è finalmente conclusa. Il verdetto del Tribunale civile di Roma ha posto fine a una delle controversie più longeve e simboliche della nostra storia repubblicana: i preziosi appartengono allo Stato italiano, e non ai discendenti della dinastia monarchica.
Il tesoro conteso dei Savoia resta al popolo italiano
La sentenza non lascia spazio a dubbi: quei monili non furono mai beni privati di Casa Savoia, bensì ''gioie di dotazione della Corona'', e in quanto tali, parte del patrimonio collettivo della nazione.
Il tesoro, stimato in circa 300 milioni di euro, ma di valore incalcolabile per la sua rilevanza storica e culturale, giace dal 5 giugno 1946 — appena tre giorni dopo il referendum che decretò la nascita della Repubblica — in una cassaforte presso la sede centrale di via Nazionale della Banca d’Italia. A consegnarlo fu Falcone Lucifero, ultimo ministro della Real Casa, nel passaggio simbolico e materiale dal vecchio ordine monarchico alla nuova Italia democratica.
La causa legale era stata intentata nel 2022 da Vittorio Emanuele, Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice di Savoia, in seguito a un primo diniego formale ricevuto nel 2021. Gli ex membri della famiglia reale avevano citato in giudizio la Banca d’Italia, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’Economia, sostenendo che i gioielli non appartenessero alla Corona, ma al patrimonio personale della dinastia. Una tesi che il Tribunale ha rigettato, definendo le pretese ''manifestamente infondate'', e respingendo anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dagli eredi, escludendo qualsiasi rinvio alla Corte di giustizia.
Il collegio giudicante ha infatti confermato che la documentazione del tempo, in particolare il verbale di consegna del 1946, parlava esplicitamente di ''gioie di dotazione della Corona del Regno d’Italia''.
Una definizione che vincola, inequivocabilmente, quei beni alla funzione istituzionale della monarchia e non al patrimonio personale dei sovrani.
Ma cosa custodisce, nello specifico, quella misteriosa cassaforte? Secondo le ricostruzioni più accreditate, al suo interno si troverebbero oltre 6.700 brillanti e circa 2.000 perle, distribuiti per un totale di quasi 2.000 carati. Un patrimonio non solo ingente per valore economico, ma soprattutto carico di significato simbolico e culturale, che rappresenta un pezzo di storia nazionale finora sottratto allo sguardo dei cittadini.
Come ha sottolineato Olina Capolino, già avvocato capo della Banca d’Italia e figura centrale nella gestione di questa lunga controversia, ''È la giusta conclusione di una vicenda che ho seguito professionalmente per anni. Ora, da cittadina, spero che presto lo Stato decida di esporre questi storici monili in un museo, rendendoli finalmente accessibili a tutti''.
Ora tocca allo Stato fare la sua parte. La giustizia ha parlato con chiarezza, mettendo un punto fermo su una controversia che rischiava di alimentare polemiche e nostalgie fuori tempo massimo. Ma se la battaglia legale è chiusa, se ne apre ora una di natura culturale perché sarebbe anche giunto il momento che lo Stato si faccia carico della valorizzazione di questo patrimonio, rendendolo fruibile al grande pubblico. Non solo per soddisfare la curiosità estetica o il gusto per il lusso, ma per restituire ai cittadini un frammento importante del racconto nazionale.
Perché quei gioielli non sono semplici monili: sono simboli di un’epoca, testimoni muti del passaggio da monarchia a repubblica, e come tali meritano un posto nella narrazione collettiva della nostra identità. Un’esposizione pubblica — in un museo, in una sede istituzionale, magari accompagnata da un percorso didattico — non sarebbe soltanto un atto di giustizia storica, ma un segnale potente di trasparenza e appartenenza. Perché, come spesso accade nella storia, i simboli contano. E quei diamanti, quelle perle, non brillano solo per il loro valore materiale, ma anche per ciò che rappresentano: un pezzo d’Italia restituito alla sua gente.