Ambiente & Sostenibilità

La lotta per salvare il warrarna: tra tradizione e innovazione nella conservazione indigena australiana

Redazione
 
La lotta per salvare il warrarna: tra tradizione e innovazione nella conservazione indigena australiana

Nel cuore arido del deserto di Tanami, una figura femminile si staglia tra le fiamme ardenti di un fuoco ancestrale. È Christine Ellis, ranger Warlpiri e depositaria di conoscenze secolari su una specie iconica che rischia di scomparire per sempre: il warrarna, il grande scinco del deserto, noto scientificamente come Liopholis kintorei.

La lotta per salvare il warrarna: tra tradizione e innovazione nella conservazione indigena australiana

Quando era bambina, Ellis osservava sua madre cucinare queste lucertole dalle squame dai colori accesi, che ricordano un tramonto infuocato di un’arancione brillante e sfumato nel giallo, direttamente sulla brace. “Aspettavamo pazientemente che fosse cotto e poi la mamma lo tagliava a metà”, racconta Ellis all’ABC, evocando un rito familiare ormai sospeso.

Oggi, però, il warrarna non è più fonte di cibo. Dal 2000, infatti, questa lucertola è inserita nella lista nazionale delle specie minacciate in Australia, vittima dell’espansione dei predatori come gatti e volpi, e di una gestione inadeguata degli incendi nelle aree desertiche. Non si tratta solo di un animale, ma di una presenza viva nel tjukurrpa, concetto che nella cultura Warlpiri intreccia storia, mitologia e la forza spirituale degli esseri ancestrali.

La sua scomparsa minaccia, quindi, non solo la biodiversità, ma anche l’identità culturale di chi da secoli convive con questo territorio. Ma la speranza non è svanita: un piano nazionale di recupero delle specie, il primo in Australia guidato dalle popolazioni indigene, sta cercando di riportare il warrarna a uno stato di salute sia demografica che culturale, con l’obiettivo futuro di un consumo sostenibile e rispettoso.

Due anni fa, Ellis e altri proprietari tradizionali del deserto centrale hanno collaborato con scienziati e istituzioni federali per creare strategie di conservazione che uniscono la "scienza bidirezionale": una sinergia tra conoscenze tradizionali e metodi scientifici occidentali.

“Abbiamo insegnato ad altri ranger come seguire le tracce dei warrarna,” spiega Ellis. Le lucertole vivono in tane scavate nella sabbia e formano gruppi familiari, un dettaglio importante per la loro conservazione. La conoscenza del territorio è cruciale anche per individuare queste tane, spesso vicino a latrine comuni di superficie, e così pianificare efficacemente la protezione del loro habitat.

Rachel Paltridge, ecologa dell’Indigenous Desert Alliance, che ha contribuito alla realizzazione del piano di recupero, racconta come la competizione tra gruppi di ranger per scoprire il maggior numero di tane abbia rafforzato lo spirito comunitario: “Abbiamo un trofeo e dei premi per chi scava più tane e per chi lavora meglio con le scuole.” La condivisione di competenze ha inoltre facilitato la gestione di trappole per volpi e gatti selvatici, principali predatori delle lucertole.

“Stiamo portando avanti alcuni progetti straordinari con gruppi di ranger che utilizzano le tecnologie più recenti per il controllo dei gatti,” aggiunge Paltridge, sottolineando come alcune aree, dove i grandi scinchi erano quasi scomparsi, stiano finalmente mostrando segni di recupero grazie a un controllo rigoroso dei predatori. Fondamentale è stato anche un rinnovato approccio alla gestione degli incendi, un elemento naturale con cui le comunità aborigene hanno convissuto e che oggi viene reinterpretato in chiave ecologica.

Studi recenti hanno dimostrato che i tradizionali modelli di combustione a mosaico - piccoli fuochi controllati che creano un paesaggio variegato - favoriscono la sopravvivenza del warrarna rispetto agli incendi boschivi incontrollati. Teagan Shields, scienziata conservazionista e donna Arabana, evidenzia come questo piano di recupero rappresenti “un importante passo avanti nella conservazione guidata dagli indigeni” proprio perché integra in modo sostanziale le conoscenze ancestrali.

“Una delle cose più interessanti è che si parla dell’uso attivo della specie come di un successo chiave del piano stesso,” afferma Shields, sottolineando anche l’apertura che questa iniziativa ha generato verso altri progetti di conservazione simili, come quello per il pappagallo dalle spalle dorate, noto come alwal tra il popolo Olkola nel Queensland. Il piano per l’alwal mette in luce un approccio sistemico innovativo, analizzando non solo la specie, ma il suo rapporto con l’intero ecosistema e altre specie, come il dingo (ootalkarra), venerato come “capo” e guardiano che protegge i nidi del pappagallo dai predatori. Parallelamente, si sta diffondendo in tutta l’Australia un riconoscimento crescente della conoscenza culturale indigena nella legislazione sulla biodiversità.

A giugno, il governo del Sud Australia ha approvato una legge che introduce il concetto di “entità culturalmente significative”, includendo specie animali e vegetali, ma anche luoghi e ecosistemi con un forte valore culturale per le comunità tradizionali. Lisien Loan, direttrice della conservazione e della fauna selvatica del servizio parchi del Sud Australia, ha spiegato all’ABC che “questo riconoscimento non bloccherà lo sviluppo, ma informerà la pianificazione dipartimentale,” coinvolgendo le Prime Nazioni nei processi decisionali.

Un progetto guidato dal dottor Shields sta lavorando a una definizione nazionale di questo concetto, consultando comunità indigene di tutto il Paese, con l’obiettivo di uniformare il riconoscimento delle entità culturali a livello federale. “Succede che al momento stiamo ottenendo un certo successo in questo settore, il che è davvero positivo,” commenta Shields. Questa definizione includerà anche specie che, pur non essendo ancora minacciate ufficialmente, rappresentano un patrimonio culturale fragile. Una strada di speranza, dunque, non solo per le specie minacciate ma anche, più in generale, per la tutela del patrimonio culturale australiano.

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