Il governo soffoca la voce dei piccoli azionisti, uccidendo la democrazia nelle società

Ddl Capitali


Redazione
 


Non sono bastate le proteste, né gli appelli, lanciati in modo fermo, ma rispettoso. Il governo non ha inteso mutare la sua linea e, con il ddl Capitali, ha di fatto impedito agli azionisti di minoranza di partecipare alle assemblee che, quindi, si svolgeranno solo nel solco delle decisioni della maggioranza che, si sa, non sempre godono di una approvazione incondizionata dai ´´piccoli´´.

Il ddl Capitali ha di fatto deciso la prosecuzione di quel regime emergenziale che, adottato nel periodo più acuto della pandemia (a tutela della salute degli azionisti, quindi con le assemblee che si sono tenute in assenza), oggi non ha più senso, visto che la situazione sanitaria in Italia, sul fronte della lotta al Covid 19, ha raggiunto la quasi totale sicurezza.

Ma non per il governo che sembra quasi abbia voluto abusare delle sue prerogative, dando alle società - e per essere al gruppo di azionisti di maggioranza che le guida - la facoltà di convocare le assemblee senza che sia prevista la presenza dei soci. Se si pensa al ruolo di pungolo, stimolo, ma soprattutto controllo che i piccoli azionisti (o, più in generale, quelli di minoranza) esercitano, sembra scontato che tutte le imprese quotate saranno convocate nel deserto. O, per meglio spiegare, solo in presenza di chi detiene la maggioranza e che, nell´impossibilità per la minoranza interna di fare sentire la su voce e soprattutto le sue ragioni, farà quel che più e aggrada o conviene.

Decisioni come quella presa dal governo (e contro cui si sono già espresse la Fodazione Finanza Etica e Shareholders for Change, che hanno chiesto alle imprese di non modificare i loro statuti per accedere alla possibilità loro concessa dall´esecutivo), se erano comprensibili nel cuore della pandemia, adducendo motivi legati alla fase dell´emergenza sanitaria, oggi sembrano un motivo per ingraziarsi il grande capitale e, per esso, le maggioranze in seno alle società, in quella che potrebbe apparire come una mera operazione di captatio benevolentiae, un modo per acquisire meriti e, quindi, consenso.

E non che a criticare il Ddl Capitali siano solo i soci di minoranza perché contro di esso s´è levata, forte e chiara, la voce del presidente della Consob, Paolo Savona che, nel corso di una audizione davanti alla Commissione Finanze del Senato, settimane fa ha stigmatizzato la norma.

Quello che però è veramente sorprendente è la motivazione che il governo ha posto alla base della decisione di cancellare la rappresentanza della minoranza nelle assemblee societarie, sostenendo che esse non servono più ad informare i soci e a consentire loro di esprimersi sulle linee decise dalla maggioranza.

Insomma, per farla breve, le assemblee, a giudizio del governo, non servono più alla formazione del giudizio dei soci e, quindi, per il voto. Ora, con il massimo rispetto per il ruolo del governo, appare sconcertante sostenere che le assemblee hanno perso la loro caratteristica di luogo fisico di confronto, tanto a decidere è la maggioranza.

In questo modo non solo si relativizza il ruolo dei soci (di tutti i soci), quanto si nega a chi dissente di spiegarne i motivi, dando per scontato che la votazione avrà sempre un esito già scritto.

E il dibattito, anticamera del voto, luogo deputato a svolgere una minima attività di vigilanza?

Niente, per il Ddl Capitali se ne può anche fare a meno. Sarà anche così, ma in questo modo viene spontaneo chiedersi cosa mai penseranno coloro che, interessati ad acquistare quote di una società, sanno sin da ora che non potranno dire nulla, limitandosi a vedere altri ratificare decisioni importanti per la vita dell´azienda, di oggi e di domani. Non considerando, poi, che il Ddl manda al macero non il bollettino della parrocchia, ma il Codice di autodisciplina della Borsa Italiana, che auspica chiaramente una partecipazione sempre più ampia alle assemblee societarie come strumento precipuo per il confronto. Tacendo del fatto che questa marginalizzazione dei soci di minoranza a corsa lunga inciderà anche sulle loro decisioni, in relazione al futuro che intendono dare ai loro pacchetti di azioni, che sono sempre importanti, seppure non decisivi, perché stiamo parlando di esercizio di democrazia e non di soggetti meri recettori di decisioni altrui e che solo in presenza hanno la possibilità di contestarle.

Né rassicura la presenza del cosiddetto rappresentante designato (dalla società) che, come dice la definizione, ben difficilmente è espressione di chi dissente e che, peraltro, essendo i soci assenti in assemblea, agisce sulla base di un mandato ex ante che l´andamento dei lavori potrebbe anche rendere inefficace.

  


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