Attualità

Chiude Verona Eataly: appassisce e muore il fiore all'occhiello di Farinetti

di Demetrio Rodinò
 
Chiude Verona Eataly: appassisce e muore il fiore all'occhiello di Farinetti

Il sogno di Oscar Farinetti, quello di creare uno spazio in cui fondere food e cultura, un luogo per incontrarsi e parlare, oltre che per pagare (non sempre a prezzi contenuti, ma si dice che la qualità costi) specialità e vini d'eccellenza, si è tramutato, per i 33 dipendenti di Verona Eataly,  è un incubo: la chiusura e tutti a casa. O, meglio, su una strada. Quando, poco meno di tre anni fa, la struttura fu inaugurata, le prospettive e le speranze erano altissime per un progetto che voleva saldare le eccellenze gastronomiche italiane alla cultura, e anche alla ''rigenerazione urbana'' (quale che sia il significato che si cela in questa definizione).  Peraltro, il luogo era anche storicamente importante, trattandosi della vecchia ghiacciaia dei Magazzini Generali, edificio che risale a quasi un secolo fa e per la cui ristrutturazione, per la nuova destinazione, furono spesi tanti soldi.
Per come era comunque necessario, viste le prospettive e le ambizioni.

11.200 metri quadrati, divisi quasi a metà tra il food e le iniziative culturali; una offerta impressionante di specialità gastronomiche in termini di numeri e di qualità; una cantina dai grandi numeri (duemila le bottiglie tra le quali scegliere). E in più un ristorante (da oltre 300 coperti) e una caffetteria. Grandi speranze, enormi ambizioni, tanta fiducia. Sentimenti che, però, sono andati poi a scontrarsi con la realtà dei fatti. Che non è solo quella di una clientela consolidata e di un buon introito (nella categorie delle ''cose positive''), ma anche con costi elevatissimi, per una struttura che, secondo Farinetti, doveva riscrivere le regole del settore.

Ma forse prima di imbarcarsi in una impresa del genere (peraltro mentre Eataly stava passando di mano, finendo nel portafoglio di Investindustrial di Andrea Bonomi) sarebbe stato necessario guardare con attenzione con altri fattori. A cominciare dai costi per mandare avanti la struttura dalle notevoli dimensioni, con tutto ciò che riguarda la gestione giornaliera. Tacendo del fatto che il fitto mensile è (''é'' perché difficilmente l'ammontare sarà decurtato dalla proprietà, Fondazione Cariverona, anche considerando che il contratto scade nel 2031) è di 96 mila euro. Tanti o pochi, non siamo capaci di dirlo, ma comunque una cifra a cui fare fronte ogni mese, e che si aggiunge ai costi per il personale e la gestione dell'area. Che, da ultima, per la sua collocazione non esattamente al centro di Verona, è stata penalizzata in termini di afflusso di clienti o di pendolari della gastronomia.

Secondo i dati ufficiali, nel 2023 le perdite hanno superato i 2,5 milioni di euro; mentre lo scorso anno sono state di  2 milioni.  Per il 2025, con un passivo mensile di circa 200.000 euro, il conto alla fine dell'anno sarebbe stato molto salato, se non  si fosse deciso di chiudere. Peraltro, i tentativi di alleggerire i costi di fitto e gestione, magari cedendo porzioni degli spazi ad altri soggetti, sono finiti in nulla. Alla fine, vittime di questa situazione, che sembra mischiare l'arroganza in cui spesso cadono gli imprenditori che hanno successo, l'incapacità di prevedere l'ampiezza delle spese a fronte degli incassi, il convincimento che il brand da solo significa successo, sono rimasti i dipendenti, alcuni dei quali potrebbero essere ricollocati in altri punti del gruppo. Ma la maggioranza teme già che il destino riserverà solo problemi. Eppure, dicono, le vendite andavano bene, al punto che la loro dedizione era stata riconosciuta con una ulteriore mensilità, come bonus per avere raggiunto gli obiettivi.   

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