Economia

Dazi, debiti e diplomazia: riparte la locomotiva?

di W.G.R.
 
Dazi, debiti e diplomazia: riparte la locomotiva?

Dopo incertezza e fibrillazioni sui mercati globali, i segnali giunti tra la fine di aprile e i primi di maggio sono contrastanti, ma non privi di speranza. Sul fronte commerciale, la politica dei dazi introdotta dal presidente Donald Trump, tra promesse di rinascita industriale e guerre commerciali, sembra avere perso il suo potenziale destabilizzante. Quello che era iniziato come un “terrore da dazio” oggi si traduce in una sorta di abitudine globale, forse addirittura in noia. Le imprese, i mercati e i governi si sono adattati, e la paura che dominava i tavoli del WTO e i vertici bilaterali lascia spazio a una nuova fase: forse un ritorno alla normalità, e non solo.

Intanto, sul fronte geopolitico, la tanto attesa svolta tra Kiev e Mosca potrebbe finalmente arrivare. Segnali positivi, seppur ancora timidi, indicano che si sta cercando una “quadra” diplomatica per uscire da un conflitto che ha tenuto il mondo col fiato sospeso per oltre tre anni. Un’eventuale tregua avrebbe ripercussioni positive su tutta l’economia globale, stabilizzando i mercati energetici e creando nuovi spazi per la cooperazione economica.

Ma non tutto è distensione: il Giappone, il più grande detentore straniero di debito pubblico statunitense con circa un trilione di dollari in T-bond, ha lanciato un avvertimento senza precedenti a Washington. Il ministro delle Finanze nipponico, Katsunobu Kato, è intervenuto pubblicamente per mettere sul tavolo una carta che finora era rimasta implicita: Tokyo potrebbe rivalutare il debito americano nelle sue mani come forma di pressione politica. 

Una mossa che, se attuata, scuoterebbe le fondamenta della fiducia internazionale verso il dollaro e i Treasury bond, fondamentali per il finanziamento del bilancio federale americano. 

Sarà la mossa decisiva per convincere Trump a desistere con il tira e molla dei dazi? 

La prospettiva ventilata da Kato se, da un lato, sembra la mossa di chi non accetta un confronto asimmetrico (in cui c'è chi agisce facendo leva sulle minacce) e quindi, per difesa , utilizza lo spettro dell'enorme massa del debito americano che controlla (circa 1.100 miliardi di dollari)  come arma psicologica per riportare i colloqui su una base di almeno apparente equità, dall'altro potrebbe avere l'effetto esattamente opposto, creando in Trump una sorta di auto-giustificazione per accreditare ulteriormente quell'immagine degli Stati Uniti ''truffati'' dagli altri Paesi alla quale fa ricorso quando gli mancano altri argomenti.

Con la prospettiva che una soluzione negoziale si allontanerebbe, anche se, oggettivamente, Washington e Tokyo non possono permettersi si privarsi l'uno dell'altro in campo commerciale.

In questo scenario, l’“età dell’oro” promessa da Trump al suo ritorno sulla scena politica tarda ad arrivare. Anzi, l’unico oro che sembra brillare è quello che si quantifica in once: nei primi tre mesi del 2025, le quotazioni del metallo prezioso hanno registrato un’impennata, segnale classico di rifugio nei momenti di incertezza economica e monetaria. Tuttavia, nonostante le tensioni, si intravedono spiragli di probabile stabilità nel prossimo futuro. La possibile fine del conflitto in Ucraina, il contenimento degli effetti della politica dei dazi e il riassestamento dei rapporti tra Stati Uniti e Asia potrebbero inaugurare un nuovo ciclo economico più pacifico e coordinato. In un mondo sempre più interconnesso, la prosperità dell’Occidente non può prescindere da quella del resto del globo. Forse non si intravede ancora il luccichio dell’età dell’oro, ma qualche raggio di luce inizia a filtrare.

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