Politica
La vicenda dei pedaggi autostradali l'ennesimo autogol del governo
di Diego Minuti

Un tempo li si vedeva nelle fiere di paese o nei quartieri più poveri delle città. Montavano il loro tavolino e, con la "sponda" di uno o due complici, che puntavano e sistematicamente perdevano, riuscivano a convincere creduloni o fessacchiotti a scommettere, dando loro l'illusione di indovinare facilmente quale fosse la carta vincente. Il gioco delle tre carte, nella sua evoluzione (ora si usano campanelline per nascondere la pietruzza che fa vincere, anche se il banco non perde mai...), ha attratto nei secoli milioni di ganzi, che hanno abboccato perdendo e chiedendosi dopo come mai sia stato possibile.
Ora il gioco si è alzato di livello, ma mai avremmo pensato o temuto che, piuttosto che il tavolino, le carte fossero poggiate su qualcosa di meno tangibile e insieme concreto, come un decreto legge. Eppure il governo Meloni sembra avere scelto di muovere velocemente le mani sul tavolo della politica, facendo apparire e scomparire provvedimenti al primo manifestarsi di qualche problema. Magari con amici degli amici che, dopo avere teso la mano in qualche operazione, ora chiedono che il loro ruolo venga riconosciuto.
Prendete il pasticciaccio (chiediamo scusa a Carlo Emilio Gadda e al commissario Ingravallo...) degli aumenti dei pedaggi, infilati quasi di nascosto in un provvedimento e poi ritirato sotto le bordate dell'opposizione, ma anche di parti della maggioranza (la Lega, che, come i Blues Brothers, ha visto la luce non in una chiesa, ma in parlamento).
Quindi, il giochetto di fare pagare di più a chi si mette in auto e percorre la rete autostradale s'è sciolto come un ghiacciolo nella torrida estate italiana. Ma la figuraccia resta, per la tempistica (gli aumenti sarebbero scattati con l'ondata di spostamenti in auto di milioni di italiani) e anche perché, ritirando il provvedimento a furore di popolo, c'è stata l'ammissione implicita, ma nemmeno tanto, di un errore, l'ennesimo di una gestione del potere, da parte della maggioranza, che ora comincia a essere finalizzato all'occupazione militare del Palazzo, delle dependance, dei garage, degli sgabuzzini delle scope....
Dietro la scelta, poi rientrata, di aumentare i pedaggi c'è sicuramente stata una esigenza di cassa, circa 90 milioni di euro, secondo gli esperti, ma non tale da giustificare una azione al limite della spregiudicatezza. Poi, siccome in politica la memoria è spesso corta e comunque modificabile come plastilina, qualcuno ha tirato fuori una intemerata di Giorgia Meloni, di qualche anno fa, appunto contro l'aumento dei pedaggi. Lo sguardo tra il torvo e l'irridente, il presidente del consiglio di oggi e all'opposizione ieri parlava degli aumenti alla stregua di balzelli che manco quelli dello sceriffo di Nottingham.
Ma il tempo cancella tutto e oggi Giorgia Meloni, e per essa il governo, ha cercato di impallinare gli automobilisti, imponendo un aumento dei pedaggi, quello stesso che, anni fa, la faceva infuriare. Ora tutti cercano di capire non come sia potuto accadere questo pateracchio, ma cosa ci sia alla base, facendo partire la corsa alla dietrologia e parlando del ruolo di un importante concessionario nel grande gioco della finanza, che tanto appassiona il governo.
Fatto sta che, almeno per i prossimi mesi, di aumenti dei pedaggi non se ne dovrebbe parlare, con grande gioia dell'italiano medio, che comincia però a dare segnali di una certa intolleranza davanti a quanto accade nel Paese, dove tutto e l'esatto contrario hanno ospitalità. Dati incontrovertibili, come il calo del potere di acquisto e la pressione fiscale, è solo un esempio, vengono rigirati come i virtuosi delle tre carte, quelli che ti fregano i soldi lasciandoti intatta la speranza di un futuro migliore.