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Ofi Invest AM: la situazione degli Stati Uniti non è così oscura… e quella europea non così luminosa

di Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM
 
Ofi Invest AM: la situazione degli Stati Uniti non è così oscura… e quella europea non così luminosa
In risposta alla politica sui dazi, imposti e poi ritrattati lo scorso 2 aprile da parte del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in occasione di quello che ha chiamato il Liberation Day, le imprese americane hanno cercato di mettersi al riparo dalle possibili conseguenze accrescendo le importazioni e mandando la bilancia commerciale del paese in profondo rosso. Ciò ha causato una contrazione su base annua del Pil Usa dello 0,3% nel primo trimestre di quest’anno.

Se da un lato questi acquisti dall’estero hanno generato una forte espansione degli inventari, dall’altro potrebbero anche avere un impatto positivo sul prodotto interno lordo, di cui potremmo avere una prova dai dati sul secondo trimestre. Infatti, nonostante la sospensione dei dazi per poter avviare delle contrattazioni, prima verso l’Unione Europea e poi verso la Cina, hanno spinto i player di mercato a scontarli fortemente nel prendere le loro decisioni, impattando soprattutto le componenti più volatili della crescita, come il commercio estero. Ciò ha spinto famiglie e imprese ad anticipare gli acquisti di alcuni beni di consumo e di investimento, il che ha stimolato la domanda interna più del previsto.

Pertanto, noi di Ofi Invest AM crediamo effettivamente che questa dinamica continuerà a pesare sull’andamento dell’economia statunitense, ma, al tempo stesso, riteniamo anche che ciò si tradurrà in un rallentamento, non una vera e propria recessione come molti sembrano ritenere. Questo perché in estate il Congresso dovrebbe approvare la cosiddetta “reconciliation law”, ovvero il provvedimento che preparerà il terreno per il taglio delle tasse che Trump ha annunciato fin dalla sua campagna elettorale.

È vero che, secondo le ultime dichiarazioni pubbliche, le maggiori società americane hanno affermato che, per contenere i costi, hanno prima bloccato le assunzioni e adesso starebbero passando ai licenziamenti, al fine di affrontare un contesto di maggiore incertezza e appiattimento della domanda. Tuttavia, al momento il tasso di disoccupazione rimane stabile, mostrando come l’incertezza appena citata e la contrazione dell’immigrazione non abbiano ancora sortito i loro effetti.

Se a ciò si aggiunge che i dati hanno già iniziato a indicare un aumento dei prezzi per i beni importati e se i maggiori esborsi legati alle tariffe dovessero essere caricati sul costo finale, allora l’inflazione Usa potrebbe risalire temporaneamente nei mesi a venire.

Pertanto, a meno che la situazione del mercato del lavoro non precipiti improvvisamente e, la Federal Reserve non ha nessuna fretta di tagliare i tassi d’interesse.

Al contrario di quanto si osserva negli States, L’Eurozona ha vissuto un primo trimestre in cui il Pil è cresciuto più delle attese: +0,4% dopo il +0,2% del 2024. È vero che parte di questa crescita è dovuta all’Irlanda e all’ancora solida domanda interna della Spagna, ma anche Germania, Italia e Francia hanno dato segnali di ripresa rispetto alla fine dello scorso anno. Tuttavia, i consumi sono stati piuttosto timidi e le ultime indagini economiche della Commissione europea mostrano sia un netto calo della fiducia delle famiglie rispetto all’inizio dell’anno, sia un atteggiamento attendista nei piani di investimento delle aziende. Pertanto, è molto probabile che buona parte della performance futura dipenderà dai colloqui tra Vecchio Continente e Washington.

Inoltre, è importante notare che ad aprile l’inflazione era stazionaria a +2,2%, ma era sorprendentemente alta per quanto riguarda la componente core (2,7% contr 2,4% di marzo), soprattutto a causa dei servizi. Per quanto ciò potrebbe essere frutto di un aumento fisiologico di alcuni di questi durante le festività pasquali, vale comunque la pena prestare attenzione, anche in relazione alla politica monetaria della Banca Centrale Europea. Infatti, se gli ultimi tagli erano tutti ampiamente prevedibili ed è estremamente probabile che Francoforte andrà a ridurre ulteriormente i tassi d’interesse, la portata di queste riduzioni è tutt’altro che certa e dipenderà principalmente da come si concluderanno i negoziati con gli Stati Uniti, dalle eventuali contromisure alle politiche di Trump e dalla rapidità con cui la Germania attuerà il suo piano di stimoli fiscali dell’economia.
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