Si diceva che, nel rassicurante perimetro delle mura di casa, ciascuno è libero di fare quel che vuole, sempre che non arrechi danno a qualcuno. ''Si diceva'', perché ormai anche quello che dovrebbe essere un rifugio sicuro mostra le fragilità di un modo di vivere che delega tutto o quasi alle macchine, alla strumentazione, soprattutto quella tecnologicamente più avanzata, quella che si regola e comanda con la voce, anche se sei dall'altra parte del mondo.
Video rubati: è questo il progresso che vogliamo?
Proprio in questi giorni la cronaca ci sta ''regalando'', si fa per dire, occasioni per riflettere sulla deriva che sta prendendo la nostra vita, troppo condizionata dalla tecnologia, alla quale giustamente ci consegniamo nella consapevolezza che il progresso è apportatore di benessere, ma se usato nel modo giusto.
Così non accade perché ormai, in un'epoca in cui la comunicazione diventa più importante delle cose che ''comunica'', tutto ha o potrebbe avere un prezzo, in un processo di mercificazione in cui non esiste più il confine tra pubblico e privato e, quindi, tra un privato che può essere anche reso palese e quello che, per pudore, vergogna, rispetto, non dovrebbe esserlo, eppure lo diventa.
La vicenda del personaggio televisivo Stefano De Martino potrebbe essere il paradigma di questo ragionamento. Qualcuno ha sottratto, utilizzando il sistema di videocamere di sicurezza interno alla sua abitazione, delle immagini molto private, che coinvolgono anche una ragazza, con cui ha peraltro un rapporto ''ufficiale''. Quindi, nessuno scoop, nessuna ricerca di solleticare la curiosità che vira verso il morboso, ma solo la precisa volontà di ''mettere a reddito'' il frutto di una attività illecita, quale è quella di violare l'intimità di una persona, mettendo sul mercato momenti totalmente privati.
Un atto illegale - del quale è stata ora investita la magistratura - che dice tanto su come ormai, già messo in cantina il Grande Fratello, che controllava sempre e comunque, si è passati ad una categoria diversa, quella del Grande Grassatore, di chi si serve delle macchine per andare oltre il buco della serratura, rubando immagini e condizionando la vita di chi, protagonista incolpevole, viene dato in pasto alla comunità di guardoni virtuali (ma nemmeno tanto virtuali).
È questo il prezzo che dobbiamo pagare? No, sicuramente, anche se marchiamo una netta differenziazione rispetto a quella sorta di luddismo che comincia a manifestarsi, vedendo il nemico assoluto nelle ''macchine'' - seppure oggi fatte di chip e AI - e dell'uso distorto che se ne fa.
Ma certamente non possiamo non temere per il nostro futuro di cittadini che, se danno allo Stato, da esso pretendono sicurezza. Che non è solo quella contro la violenza fisica, ma anche contro questa, che è la distorsione peggiore del progresso.