Ha attraversato l'universo cinematografico per oltre cinquant'anni, la maggior parte dei quali per sfuggire la maledizione di una fama torbida, legata ad una sola scena, ma di cui ha pagato conseguenze spaventose, immeritate, per lei che, ad appena 19 anni, entrò nell'immaginario collettivo per una violenza che, da filmica che doveva essere, diventò reale, senza che lei nemmeno capisse il perché.
Cinema: un film rende omaggio a Maria Schneider, distrutta da una ingiusta torbida fama
Maria Schneider, che da "Ultimo tango a Parigi" uscì psicologicamente devastata, finì nel vortice della dipendenza e dei disturbi mentali, trascorrendo il resto della sua vita perseguitata da fantasmi che non l'abbandonarono mai, fino alla sua morte 2011, a soli 58 anni, uccisa da un tumore al polmone.
A distanza di anni, con dolore evidente, rivelò che la "celeberrima" scena della sodomia su quasi una violenza sessuale perché nessuno - a cominciare da Bernardo Bertolucci - le aveva spiegato cosa sarebbe accaduto. E lei, nuda, sul pavimento dell'appartamento dove si consumava la relazione tra sconosciuti, tra lei e Marlon Brando, davanti alla troupe fu oggetto e non protagonista.
Una scena sconvolgente che, nel 1972, data d'uscita del film, creò intorno alla pellicola (in Italia condannata al macero per il suo contenuto) un clamore enorme.
Il film racconta l'effimera e drammatica relazione tra un uomo di mezza età, Paul, che ancora piange la morte della moglie, e una giovane donna, Jeanne, in un appartamento parigino vuoto, in cui si consumano amplessi conditi da colloqui intensi.
La "scena del burro", perché così è passata alla storia della cinematografia, non era presente nella sceneggiatura originale e alcuni elementi furono girati senza il previo consenso dell'attrice diciannovenne Maria Schneider.
Ora, con "Being Maria", con Matt Dillon nella parte di Marlon Branco e Anamaria Vartolomei in quello della protagonista, la regista francese Jessica Palud racconta la sua storia e anche la realizzazione di "Ultimo tango a Parigi".
"Penso che dovremmo considerare il contesto dell'epoca di Ultimo tango a Parigi, sono passati ormai cinquant'anni da quando il film è stato girato", ha detto Matt Dillon, ricordando che quella "era un'epoca diversa, ma è molto importante guardarla ora da una prospettiva diversa. È stata un'esperienza davvero traumatica per lei. E non solo nel momento in cui è accaduta, ma perché ha continuato a seguirla e a perseguitarla ovunque andasse nella sua vita, in tantissimi modi".
E', appunto, questo il nodo della vicenda umana di Maria Schneider, sulla cui vita si appuntò la morbosa attenzione della gente, quasi che la sua esistenza dovesse ruotare necessariamente intorno a quel pavimento, all'uomo che le ansimava addosso, a quel panetto di burro. E dire che lei, quando le proposero la parte, aveva delle perplessità, anche perché stava per girare un film con Alain Delon.
Nel 2007 in un'intervista disse che a 19 anni, "non capiva tutti i contenuti sessuali del film". Aveva un brutto presentimento, confessò, ma la sua agenzia le disse che non poteva rifiutare di lavorare con Marlon Brando, una delle più grandi star del cinema del XX secolo.
La drammaticità dell'esperienza vissuta Maria Schneider la affidò a poche frasi: "Quella scena non era nella sceneggiatura originale. La verità è che fu Marlon ad avere l'idea. Me ne parlarono solo prima di girare la scena ed ero così arrabbiata... Mi sentii umiliata e, a dire il vero, mi sentii anche un po' violentata, sia da Marlon che da Bertolucci. Dopo la scena, Marlon non mi consolò, né si scusò. Mi disse: 'Maria, non preoccuparti, è solo un film', ma durante la scena, anche se quello che stava facendo Marlon non era reale, piangevo lacrime vere. Per fortuna, ce n'è stata una sola". Poco vale oggi sapere che lo stesso Bertolucci confessò, a distanza di anni, di avere taciuto i particolari della scena dicendo di volere che Maria "reagisse come una ragazza, non come un'attrice. Volevo che reagisse umiliata".
Quella scena, diventata per sempre "la scena", è talmente legata a Maria Schneider, avendone condizionato il resto della vita, reale e nella finzione di un film, ha posto la regista davanti al quesito di come riproporla, ma cercando di cancellare l'alone di morbosità che l'ha sempre contraddistinta e la scelta è caduta sul fatto di girarla dal punto di vista della protagonista.
"Non potevo evitare di girare questa scena perché è stato proprio il momento in cui la sua vita è cambiata completamente. Da lì in poi tutto va storto - ha detto la regista - .Era importante avere la scena dal suo punto di vista, dal suo corpo, dal suo sguardo, da ciò che ha attraversato e dal fatto che ci fossero testimoni. Maria è stata aggredita in presenza di tutta la troupe, che osservava senza reagire".
Ma, per rispettare i protagonisti di oggi, ma anche lei, Maria, questa volta la scena è stata preparata con l'aiuto di un coordinatore dell'intimità, come vengono chiamati coloro che, sul set, evitano scabrosità gratuite, aiutando gli attori a non cadere nell'insicurezza di una situazione artificiosa, ma potenzialmente invasiva.
Dillon, che a 61 anni ha una lunga carriera alla spalle, racconta che è stata la prima volta che ha lavorato con uno di questi "specialisti", la cui presenza durante le riprese è diventata sempre più comune dopo il movimento #MeToo.
"Non credo sia una cosa negativa, anzi, credo che possa evolversi in qualcosa di positivo - ha detto a proposito dell'utilizzo dei coordinatori dell'intimità -. Sembra che servano per impedire alle persone di oltrepassare i limiti, ma in realtà creano confini che offrono opportunità per approcciare queste scene in modo diverso. Spero che le cose si evolvano in questo modo, piuttosto che far sì che le persone si sentano come se 'sono qui per dirci cosa possiamo e cosa non possiamo fare'. E io e Anamaria ci siamo sentite molto a nostro agio."
Significativo il commento di Anamaria Vartolomei, quando ha detto di "non riuscire a immaginare cosa fosse per Maria, perché lo provava davvero. La sto solo interpretando. Ma le è successo davvero, e non aveva nessuno intorno".
Anamaria Vartolomei ha confessato afferma che, sebbene si sia sentita "sicura, protetta e guidata" durante le riprese della scena dello stupro di "Being Maria", si è comunque sentita turbata.
"Quella scena è stata davvero violenta - ha raccontato alla BBC - . Non riuscivo a immaginare cosa fosse per Maria, perché l'ha provata davvero. La sto solo interpretando. Ma le è successo davvero, e non aveva nessuno intorno. C'era solo gente che la guardava senza fare nulla. Credo che la violenza sia stata doppia perché non ha avuto il mio supporto sul set, ma l'ho comunque sentita molto dura. Ero così emozionata quel giorno. Non riuscivo a smettere di piangere perché sentivo di aver accumulato la violenza della scena quando l'ho vista sullo schermo. Quando ho dovuto interpretarla, mi sono venute fuori tutte le lacrime. Penso che sia molto brutale. Ed è folle pensare che qualcuno possa fare una cosa del genere".
Maria Schneider 50 anni fa non poteva avere supporto professionale sul set, ma non aveva nemmeno l'esperienza necessaria per sapere che Bertolucci non poteva costringerla a recitare quella scena.
"Avrei dovuto chiamare il mio agente o far venire il mio avvocato sul set perché non si può costringere qualcuno a fare qualcosa che non è nel copione, ma all'epoca non lo sapevo", avrebbe detto in seguito.
Ma, una volta arrivato nelle sale, preceduto dalla fame di film con scene per quel tempo relegate solo ai porno, "Ultimo tango a Parigi", uscito a partire nell'ottobre 1972 fu l'inizio del dramma di Maria Schneider. L'opera di Bertolucci, tra divieti e recensioni al vetriolo, ebbe comunque un grande successo al botteghino, con la gente a fare la fila per ore per entrare nei cinema.
Un successo commerciale che mostrò anche il disprezzo della macchina del cinema per i più deboli, quale era Maria Schneider al confronto di Bertolucci (la cui regia fu celebrata, facendolo assurgere alla fama mondiale) e Brando (che, avendo una percentuale sugli incassi, si mise in tasca tre milioni di dollari del tempo).
E Maria Schneider?
Lei, per il film che l'avrebbe marchiata a fuoco, fu pagata appena 4.000 dollari. Quel che le accade dopo fu lei a raccontarlo, parlando di confessioni che una donna matura o almeno padrona dei meccanismi della comunicazioni non avrebbe fatto. E lo affrontò da sola: "Essere improvvisamente famosa in tutto il mondo era spaventoso. Non avevo guardie del corpo come oggi. La gente pensava che fossi uguale al mio personaggio e che inventassi storie per la stampa, ma non ero io... Mi faceva impazzire. Mi drogai... era come una fuga dalla realtà. Erano gli anni '70 e a quel tempo succedeva tutto".
In un'intervista disse che "la gente pensava che fossi come la ragazza del film, ma non ero io. Ero molto triste perché venivo trattata come un sex symbol, volevo essere riconosciuta come attrice, ma tutto lo scandalo e le conseguenze del film mi hanno fatto impazzire e ho avuto un crollo nervoso".
Per questo tentò anche il suicidio e, quando si liberò apparentemente dei demoni che la divoravano, proseguì nella carriera cinematografica, ma senza più tornare famosa come un tempo, quando per tutti era la protagonista di un film che l'avrebbe dovuto lanciare nell'universo della cinematografia e che invece la distrusse.
"La cosa spiacevole è che Maria Schneider ha dato un'interpretazione incredibile in quel film, e si capiva come la sua carriera avrebbe potuto prendere una strada diversa", ha detto dice Matt Dillon, in una semplice considerazione che vale più di mille giudizi.