Economia

FMI: l'economia globale entra in una nuova era

Redazione
 
FMI: l'economia globale entra in una nuova era

La recessione è stata evitata, ma la crescita globale è stata rivista bruscamente al ribasso. Nelle previsioni rese note oggi, il Fondo monetario internazionale prevede una crescita globale del 2,8% nel 2025, poi del 3% nel 2026, tenendo conto di tutte le misure tariffarie annunciate fino al 4 aprile sotto la guida del presidente americano Donald Trump. In soli tre mesi, il FMI ha rivisto al ribasso le sue previsioni per il 2025 e il 2026 rispettivamente di 0,5 e 0,3 punti percentuali.

FMI: l'economia globale entra in una nuova era

Tenendo conto di tensioni commerciali ed elevata incertezza politica, per l'FMI ''il sistema economico globale in cui la maggior parte dei Paesi ha operato negli ultimi 80 anni sta subendo un riassetto, inaugurando una nuova era per il mondo. Le norme vigenti vengono messe in discussione, mentre nuove norme devono ancora emergere''. Nel rapporto si fa riferimento agli annunzi di dazi da parte degli Stati Uniti e delle conseguenti frizioni con alcuni Paesi (Canada, Cina, Messico) e quelli che vengono definiti settori critici.

Per il fondo ''se protratto, questo brusco aumento dei dazi e la conseguente incertezza rallenteranno significativamente la crescita globale''.
Partendo dagli annunci di dazi tra il primo febbraio e il 4 aprile da parte degli Stati Uniti e le contromisure da parte di altri Paesi, l'FMI ha ridotto le previsioni di crescita globale al 2,8% per il 2025 e al 3% per il 2026, con un declassamento cumulativo di circa 0,8 punti percentuali rispetto all'aggiornamento di gennaio 2025.

Comunque ''nonostante il rallentamento, la crescita globale rimane ben al di sopra dei livelli di recessione. L'inflazione globale viene rivista al rialzo di circa 0,1 punti percentuali all'anno, ma la spinta disinflazionistica continua. Il commercio globale si è dimostrato finora piuttosto resiliente, in parte perché le imprese sono state in grado di reindirizzare i flussi commerciali quando necessario.

Questa volta, però, la situazione potrebbe complicarsi. Prevediamo che la crescita del commercio globale subirà un calo maggiore rispetto alla produzione, attestandosi all'1,7% nel 2025, una significativa revisione al ribasso rispetto al nostro aggiornamento di gennaio''.

Ma per il Fondo monetario internazionale ''la stima globale maschera una variazione sostanziale tra i vari Paesi. I dazi costituiscono uno shock negativo dell'offerta per la giurisdizione di attuazione, poiché le risorse vengono riallocate verso la produzione di beni meno competitivi, con conseguente perdita di produttività aggregata e prezzi di produzione più elevati. Nel medio termine, possiamo aspettarci che i dazi riducano la concorrenza e l'innovazione e aumentino la ricerca di rendite, influendo ulteriormente sulle prospettive''.

Negli Stati Uniti, ricorda l'FMI, ''la domanda si stava già indebolendo prima dei recenti annunci di politica economica, riflettendo una maggiore incertezza politica. In base alle nostre previsioni di riferimento del 2 aprile, abbiamo abbassato la nostra stima di crescita degli Stati Uniti per quest'anno all'1,8%. Si tratta di 0,9 punti percentuali in meno rispetto a gennaio, e i dazi contribuiscono per 0,4 punti percentuali a tale riduzione. Abbiamo anche aumentato le nostre previsioni di inflazione negli Stati Uniti di circa 1 punto percentuale, rispetto al 2%''.

Per i partner commerciali, i dazi, si legge ancora nel rapporto, ''rappresentano principalmente uno shock negativo della domanda, allontanando i clienti esteri dai loro prodotti, anche se alcuni paesi possono beneficiare della deviazione degli scambi. In linea con questo impulso deflazionistico, abbiamo rivisto al ribasso le nostre previsioni di crescita per la Cina per quest'anno al 4%, con una riduzione di 0,6 punti percentuali, e l'inflazione è stata rivista al ribasso di circa 0,8 punti percentuali.

La crescita nell'area dell'euro, soggetta a dazi effettivi relativamente più bassi, è stata rivista al ribasso di 0,2 punti percentuali, allo 0,8%. Sia nell'area dell'euro che in Cina, un maggiore stimolo fiscale fornirà un certo sostegno quest'anno e il prossimo. Molte economie emergenti potrebbero subire rallentamenti significativi a seconda di dove si stabilizzeranno i dazi. Abbiamo rivisto al ribasso le nostre previsioni di crescita per il gruppo di 0,5 punti percentuali, al 3,7%.

Il rapporto analizza anche l'effetto dai dazi sulle monete: ''Gli Stati Uniti, in quanto Paese che applica i dazi, potrebbero vedere la propria valuta apprezzarsi, come negli episodi precedenti. Tuttavia, una maggiore incertezza politica, prospettive di crescita statunitensi più deboli e un aggiustamento della domanda globale di attività in dollari – finora ordinata – possono gravare sul dollaro, come abbiamo visto dopo l'annuncio dei dazi. Nel medio termine, il dollaro potrebbe deprezzarsi in termini reali se i dazi si traducono in una minore produttività nel settore dei beni commerciabili statunitense, rispetto ai suoi partner commerciali. I rischi per l'economia globale sono aumentati e l'aggravarsi delle tensioni commerciali potrebbe deprimere ulteriormente la crescita. Le condizioni finanziarie potrebbero ulteriormente inasprirsi, poiché i mercati reagiscono negativamente alle ridotte prospettive di crescita e all'aumento dell'incertezza. Sebbene le banche rimangano complessivamente ben capitalizzate, i mercati finanziari potrebbero trovarsi ad affrontare prove più severe. Le prospettive di crescita potrebbero tuttavia migliorare immediatamente se i paesi allentassero l'attuale politica commerciale e stipulassero nuovi accordi commerciali. Affrontare gli squilibri interni può, nel corso degli anni, compensare i rischi economici e aumentare la produzione globale, contribuendo al contempo in modo significativo alla chiusura degli squilibri esterni. Per l'Europa, ciò significa investire di più in infrastrutture per accelerare la crescita della produttività. Significa anche aumentare il sostegno alla domanda interna in Cina e accelerare il consolidamento fiscale negli Stati Uniti''.

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