Economia

Sogin, intervista a Gian Luca Artizzu: "Doveroso investire nel nucleare per la competitività industriale italiana"

Romolo Martelloni
 
Sogin, intervista a Gian Luca Artizzu: 'Doveroso investire nel nucleare per la competitività industriale italiana'

Mentre l’Europa si avvia a un rinnovato rilancio dell’atomo – con la capacità nucleare destinata a salire da circa 98 GW attuali agli oltre 109 GW entro il 2050 secondo l’ultimo programma della Commissione Europea, che prevede investimenti per circa 241 miliardi di euro – l’Italia segna un punto di svolta. Dopo quarant’anni di stop, il progetto governativo punta a reintrodurre nuovo nucleare entro il 2027, con reattori modulari avanzati in grado di incidere per l’11%22% nel mix energetico al 2050, abbattendo costi per 17 miliardi rispetto a scenari con sola energia rinnovabile. In questo contesto, la SOGIN – Società pubblica per la gestione degli impianti nucleari – riveste un ruolo chiave. Nata nel 1999 con il compito di smantellare in sicurezza gli impianti dismessi e di gestire i rifiuti radioattivi italiani, oggi è una delle principali realtà pubbliche nel settore della sicurezza nucleare. Oltre a portare avanti le delicate operazioni di decommissioning nei siti di Latina, Caorso, Trino, Garigliano e nelle ex installazioni di ricerca EUREX e ITREC, SOGIN è al centro del dibattito sul futuro della filiera: dalla costruzione del Deposito Nazionale – infrastruttura strategica per la messa in sicurezza definitiva dei rifiuti radioattivi – fino al ruolo potenziale nel nuovo nucleare italiano, in particolare nella logistica, nella gestione impiantistica e nel trasferimento di competenze tecniche. Abbiamo incontrato Gian Luca Artizzu, Amministratore delegato di SOGIN dal 2023, per fare il punto su una fase cruciale della vita della società: tra risultati ottenuti, sfide tecnologiche, scelte politiche e scenari futuri.

Qual è la sua visione sul futuro del nucleare in Italia? Crede che il nostro Paese possa tornare a investire in questa forma di energia nel medio-lungo termine?

Si: io credo sia doveroso investire nel nucleare, se il Paese ha la volontà di rimanere competitivo dal punto di vista industriale, assicurare il funzionamento della propria infrastruttura di difesa e lo sviluppo delle nuove tecnologie di data management, IA, IOT e tutto ciò che al contempo contribuisce alla sicurezza e allo sviluppo della produttività, oltre al più intuitivo fatto oggettivo della totale neutralità carbonica della fonte nucleare, importante sia sotto il profilo ambientale che in termini di certificazioni ambientali internazionali: altro fattore di competitività o di potenziale esclusione per le nostre aziende. Per quanto riguarda la decarbonizzazione potrei essere ancora più netto: in una dinamica di consumi elettrici crescenti, senza il nucleare, semplicemente, non si riesce ad ottenere la neutralità.

Sogin è attivamente coinvolta nella gestione dei rifiuti nucleari. Quali sono le principali sfide che affrontate nella gestione dei depositi e quanto è ancora lungo il percorso per il loro smaltimento sicuro?

Tutto il processo che va dalla progettazione alla esecuzione del decommissioning e il conseguente confinamento dei rifiuti in depositi temporanei, da noi costruiti secondo le progressive esigenze di smantellamento, in attesa di poter costruire il Deposito Nazionale, è estremamente controllato e, direi, quasi ossessivo nell’applicazione dei più severi standard internazionali e nazionali di sicurezza. I rifiuti radioattivi sono trattati attraverso tecniche di condizionamento che li inseriscono in matrici cementizie stabili e all’interno di contenitori appositamente progettati e costruiti per offrire il massimo livello di sicurezza di questi manufatti. Il confinamento provvisorio prevede la presenza di personale ed il predico controllo dello stato dei manufatti, mentre lo smaltimento definitivo consente un approccio meno costoso nel suo complesso e di gestione a più lungo termine, fino al dimezzamento della radioattività, comunque confinata secondo un approccio che prevede barriere multiple e l’utilizzo di materiali estremamente resistenti e duraturi. Dal punto di vista tecnico non c’è nessun problema, sappiamo esattamente cosa fare e lo facciamo quotidianamente, direi che i problemi sono prevalentemente amministrativi e di percezione negativa da parte di una incolpevole opinione pubblica, sistematicamente disinformata da oltre quarant’anni di campagne denigratorie di tipo ideologico. Ciò rallenta molto il processo di individuazione, ma credo al contempo che negli ultimi anni siano stati fatti passi decisivi in avanti: sono molto ottimista su una soluzione positiva nei tempi stabiliti dal Governo.

L'Italia ha deciso di abbandonare il nucleare dopo i referendum del 1987 e del 2011. Come vede la possibilità di collaborare con altri paesi europei o extraeuropei che invece stanno investendo in nuove tecnologie nucleari?

In realtà la collaborazione internazionale non si è mai fermata, né sul decommissioning né sullo sviluppo di nuovi metodi e tecnologie e nemmeno su alcune fasi di sviluppo del nuovo nucleare: l’Italia ha mantenuto, nonostante, il blocco interno, un altissimo standing delle competenze nucleari, riconosciuto a livello internazionale. Sogin è l’unica azienda italiana riconosciuta Collaborating Centre della IAEA e, negli anni, non ha mai cessato importanti collaborazioni internazionali con governi e aziende sulle materie del decommissioning e dell’innovazione. Sogin è, da circa un anno e mezzo, membro dell’Alleanza Industriale Europea sugli SMR (small modular reactor) ed il contesto è in evoluzione visto che recentemente il Governo Italiano, dopo due anni come “membro osservatore” è entrato come contributore nell’Alleanza Nucleare Europea: sono passi importanti che lasciano ben sperare.

Quali sono le principali preoccupazioni ambientali e sociali legate alla gestione delle vecchie centrali nucleari? Come Sogin sta lavorando per mitigarle?

Si tratta in parte dei timori verso un qualcosa che non si conosce bene, come la radioattività, che anziché essere associata a ciò che è, ovvero un fenomeno naturale, continua ad essere accostata a tecnologie militari, assolutamente distanti dal nucleare civile e a disastri veri e presunti, ma chi è intellettualmente onesto e preferisce una informazione fattuale e basata su dati scientifici, sa bene e riporta il fatto che il nucleare è la fonte più sicura in assoluto e che i rifiuti nucleari sono quelli di gran lunga gestiti con maggiore severità e confinati come nessun altro scarto, anche pericoloso, di nessun’altra industria. Rimangono poi i fenomeni NIMBY (not in my backyard) e NIMTO (not in my terms of office) che da un lato favoriscono la nascita di numerosi movimenti raramente seri e informativi (qualcuno c’è) e molto spesso portatori di interessi locali, o ideologici, talvolta economici (come dimostra una recente inchiesta giornalistica), che spingono per il blocco di qualsiasi iniziativa, quasi sempre potendo contare su argomentazioni prive di onere della prova o su argomentazioni pseudoscientifiche. Sogin lavora molto sulla formazione e sulla informazione, sia attraverso la propria scuola interna, la Radwaste Management School, che eroga corsi anche verso l’esterno, soprattutto aziende appaltatrici, forze dell’ordine, Vigili del Fuoco, etc., sia attraversoiniziative di coinvolgimento della popolazione, come Open Gate, evento con quale abbiamo fatto visitare le nostre centrali a 3500 persone in due giorni, delle scuole, che sono spesso ospiti dei nostri siti lungo l’intero periodo scolastico, gli ordini professionali, i politici locali e la stampa. Cerchiamo di tenere le porte il più aperte possibile, ma servirebbe senz’altro un budget molto maggiore per queste iniziative e questo è un tema che spesso trattiamo col MASE che ci è molto vicino e ci dà sostegno.

Ci sono nuove tecnologie nucleari che potrebbero rendere più sicuro e sostenibile l'uso del nucleare? Sogin è coinvolta in progetti di ricerca o partnership tecnologiche in questo campo?

Si, abbiamo, e stiamo stipulando, diversi accordi di sviluppo, su diverse tematiche che vanno dal decommissioning, che allo stato attuale è il nostro core business, alla progettazione di siti che siano già in partenza programmati per facilitare il decommissioning futuro anche con le nuove tecnologie, e anche questo contribuisce a renderle più sostenibili, ad altri progetti nei quali veniamo invitati per le nostre competenze in diverse materie, che vanno dal project management alle tematiche legate al combustibile nucleare, passando per l’expertise in tema regolatorio, e così via. Il nucleare non ha tanto bisogno di essere reso più sicuro, siamo già a livelli elevatissimi, quanto più sostenibile soprattutto dal punto finanziario, e questo si realizza anche attraverso la costruzione di un sistema regolatorio e normativo che fornisca un quadro stabile e regole certe che non spiazzino investimenti a lungo termine.

Il nucleare è spesso considerato costoso rispetto ad altre fonti di energia. Quali sono, secondo lei, i vantaggi economici che il nucleare potrebbe ancora offrire all'Italia?

Il costo del nucleare, inteso come investimenti, è senz’altro elevato, ma va specificato che parliamo di impianti che durano ormai 60 – 80 anni, quindi si tratta di ammortamenti tecnici lunghi e rendimenti a lungo termine. Il payback period è fra i 22 e i 25 anni di attività, quindi, in proporzione sulla durata di impianto, meglio di quasi tutte le altre fonti. Inoltre, a differenza di altre fonti, è considerato il costo di ciascuna fase di vita, senza alcuna esclusione, incluso il decommissioning e la gestione dei rifiuti, con tutta la complessità regolatoria che lo caratterizza e che influenza il costo finale. Quando si opera con criteri simili con le altre fonti energetiche, ovvero si aggiungono i costi degli accumuli e di sistemi che sostituiscano l’inerzia delle turbine, si ottengono, in proporzione,investimenti e costi di produzione simili, ma con una differenza: il nucleare, come altre fonti programmabili, e con in più il fatto di non emettere CO2, produce la parte più pregiata dell’energia che serve al sistema: quella di base, continua e affidabile, che alimenta i sistemi di difesa, telecomunicazioni, IT,  sanità e tutto ciò che garantisce la sicurezza del Paese. Occorre non fare confusione anche su un’altra cosa: spesso si usano i costi alla produzione e li si confonde coi prezzi finali e si utilizzano indicatori simulati, come LCOE (levelized cost of elecricity) della banca Lazard,per tentare di dimostrare che il prezzo finale sarebbe più elevato col nucleare. Nulla di più falso. A parte la confusione fra costi di produzione e prezzi finali,è un dato empirico e assodato il fatto che sistemi elettrici che hanno nel proprio mix anche il nucleare hanno un costo dell’energia generalmente più basso del nostro e prezzi finali ugualmente più contenuti. Io sono molto preoccupato quando soggetti che si danno un ruolo politico e si spacciano anche per ambientalisti utilizzano queste simulazioni, nate per verificare il ritorno economico degli investitori in ciascuna fonte, senza tenere conto di tutti i fattori che compongono la pianificazione di un sistema di approvvigionamento elettrico o energetico in genere, non solo perché dimostrano di essere profondamente inadeguati al ruolo che reclamano, ma perché riescono spesso ad influenzare l’opinione pubblica con sensazionalismi privi di solidità, favorendo scelte e decisioni sbagliate, dannose per i cittadini ignari.

Iniziative come il progetto del DOE per il sito di Hanford, che trasforma un ex sito nucleare in un parco solare, stanno guadagnando attenzione a livello internazionale. In Italia, Sogin potrebbe prendere in considerazione progetti simili per convertire vecchi siti nucleari in strutture per energie rinnovabili, come il fotovoltaico? Quali potrebbero essere le opportunità e le sfide legate a una simile trasformazione?

Immagino si riferisca alla riconversione al fotovoltaico, giusto? Le caratteristiche del sito di Hanford sono molto particolari, sia per estensione che per l’uso che se ne è fatto negli anni. Ricordiamo che si tratta di un sito militare che ha fatto parte inizialmente anche del Progetto Manhattan, che si sviluppa su una superficie molto grande e sul quale si è fatta una operazione di conversione al fotovoltaico che ha anche un valore simbolico. Se si facesse la stessa cosa in Italia con i quattro siti ex Enel che gestiamo noi di Sogin, lo dico senza giri di parole,la considererei vuota demagogia, una sorta di greenwashing:il fotovoltaico che si installerebbe produrrebbe talmente poco da essere uno spreco di terreni industriali di grande valore.I siti italiani sono piccoli e preziosi. Piccoli perché la concentrazione di energia che dà la fonte nucleare è tale da produrre tanto, occupando porzioni di territorio insignificante; preziosi perché pochi e frutto di un processo di scelta complesso, che ci ha dato in dote dei siti caratterizzati da difese idrogeologiche solide, lungo dorsali di trasporto importanti, dotati di altre facilities logistiche, di accesso di security che sarebbe un delitto mandare a perdere. I siti dovranno essere valorizzati sfruttando al massimo le loro caratteristiche, favorendo prima di tutto il ritorno al nucleare, e se questo per mille ragioni non fosse possibile, riconvertendoli col criterio del massimo utilizzo delle caratteristiche che ho indicato, quindi con tecnologie ad alta concentrazione, sia che si tratti di energie rinnovabili, come ad esempio le BESS che danno un supporto alla rete di trasporto nazionale, o contribuire con altre tecnologie per favorire questa transizione complessa che, è al contempo ecologica, energetica e digitale.

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