FOTO: khamenei.ir - CC BY 4.0
Mentre Iran e Israele si scambiano attacchi, a colpi di missili e droni, quale che possa essere l'esito del conflitto (destinato a concludersi con una ''pace'' che lascerà i due contendenti comunque sconfitti) la guida suprema Ali Khamenei vede l'orologio del suo potere scandire le ore della fine.
Medio Oriente - Analisi: il potere di Khamenei agli sgoccioli, quale che sia l'esito del conflitto
Non sarà all'indomani della conclusione ufficiale del conflitto, ma i tempi dl dominio assoluto sulla repubblica islamica sembrano destinati a concludersi, perché anche la stessa macchina religioso-militare che lo ha lasciato lì dov'è da decenni da potrebbe pensare ad un utile cambio di guardia, che allontani l'Iran da una presenza ingombrante e ormai fuori dalla storia.
Subentrato a Khomeini, Khamenei ha incarnato l'anima più integralista della casta degli ayatollah, quella che ha imposto ad un Paese che prima brillava per effervescenza, nel panorama socialmente arretrato della regione, un salto all'indietro, in un medio evo che solo la parte più retriva degli iraniani ha favorito, soffocando ogni dissenso.
Il tempo non ha scalfito le sue convinzioni che lo hanno portato a dire che Israele "non durerà a lungo" e che ''dobbiamo resistere al nemico rafforzando la nostra fede incrollabile".
Se c'è stato un punto di svolta, nella storia recente di Khamenei, è stato l'omicidio del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che, circondato da un'aura di intangibilità, è stato invece polverizzato mentre, insieme ai suoi collaboratori, si trovava nel quartier generale del movimento islamista, a Beirut, sbriciolato dal razzi di Israele.
Un colpo, oltre che per Hezbollah, anche per lo stesso Khamenei che Nasrallah aveva un alleato e seguace da decenni. L'attacco scatenato da Israele venerdì, anche se era atteso (vista l'accelerazione che Teheran ha imposto al suo programma nucleare per ''regalare'' al regime un'arma atomica) ha messo all'angolo, oltre all'apparato militare iraniano anche le basi stesse della strategia di Khamenei, che ha creato una galassia di movimenti islamisti sciiti (in Libano, nella Striscia, in Iraq, in Siria e nello Yemen) per indebolire Israele (costretto a combattere su più fronti).
Una alleanza militare e religiosa, nel nome dello sciismo e dei soldi e degli armamenti che arrivano da Teheran, che oggi è però allo sbando sotto i colpi inferti dall'Idf e dall'intelligence di Gerusalemme.
Khamenei, nato nella città-santuario di Mashhad, nell'Iran orientale, si è mosso sempre negli ambienti del radicalismo sciita, vedendo quindi nello scià Mohammad Reza Pahlavi un nemico anche per avere lanciato una serie di riforme che, secondo il clero, avrebbero minato la saldezza dei principi della società iraniana.
Quindi, per il giovane Khamenei, fu quasi scontato vedere nell'ayatollah Ruhollah Khomeini il suo punto i riferimento, tanto da diventarne uno stretto collaboratore, cui furono affidate missioni delicate e segrete, quando la futura Guida suprema era in esilio all'estero.
Eppure, nonostante fosse imbevuto delle tesi radicali di Khomeini, Khamenei era un appassionato di scrittori occidentali (anche se questa classificazione potrebbe non essere completamente aderente alla realtà), espressioni di culture diverse: il russo Lev Tolstoj, il francese Victor Hugo e lo statunitense.
Avendo nel suo ''palmares'' anche arresti da parte della Savak, la crudele ed efficiente polizia segreta dello scià, Khamenei, dopo la caduta di Reza Pahlavi, scalò la gerarchia sciita più radicale, raccogliendo, nel 1989, l'eredità spirituale, ma soprattutto di potere, di Khomeini. La prima cosa che fece, dal punto di vista squisitamente politico, fu guardarsi intorno per capire chi poteva essere un suo interlocutore nella strategia di consolidamento del suo essere guida suprema, che non è solo una carica religiosa o morale.
Quindi, quale migliore occasione per allacciare solidi rapporti con le Guardie della Rivoluzione Islamica , cuore pulsante del nuovo regime e potente forza militare, sociale ed economica dell'Iran?
E, grazie ad alleanze e a campagne di neutralizzazione degli avversari, Khamenei è diventato un governante assoluto, impermeabile a qualsiasi istanza di rinnovamento gli provenga dalla sua gente, alla quale ormai vengono negate anche le libertà più elementari, come esprimere il loro pensiero o abbigliarsi - le donne - come meglio credono.
Neanche l'elezione a presidente della repubblica del moderato riformista (per quanto si possa essere riformisti in un regime teocratico) Mohammad Khatami ha intaccato il suo potere, oggi più che mai legato a doppio filo con le Guardie della Rivoluzione, fulcro militare ed economico del Paese.
Più volte gli iraniani hanno cercato di sollevare la testa, ma il tallone del regime ha schiacciato le proteste, attuando una feroce repressione che ha colpito coloro che dissentono: donne, omosessuali, intellettuali, giornalisti, minoranze religiose.
Tutto questo mentre le sanzioni economiche, conseguenza dei ''giochetti'' sul nucleare, hanno messo in ginocchio il Paese, persino i ''bazaristi'', la potente casta dei commercianti che ha sempre lucrato, al di là di chi siede nella poltrona più alta dell'Iran, su cui ancora oggi, vecchio e malato, resiste. Ma ancora per quanto?