''Una sinfonia deve essere come il mondo. Deve contenere tutto''.
Con questa celebre massima rivolta a Sibelius, Gustav Mahler ha consegnato alla posterità non solo un principio estetico, ma una visione cosmica della musica. In essa convivono l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, la speculazione metafisica e il dolore quotidiano, l’anelito escatologico e l’ironia del gesto minimo.
Musica: Amsterdam celebra l’universo interiore di Mahler
E mai come in questi giorni, ad Amsterdam, questo universo complesso si dispiega con impressionante completezza: il Concertgebouw, tempio europeo della grande tradizione orchestrale, ospita uno dei più ambiziosi tributi alla musica mahleriana mai concepiti: un festival interamente dedicato al compositore, che nell'arco di dieci giorni (sino al 18 maggio) riunisce alcune delle più prestigiose orchestre e dei più acclamati direttori del panorama mondiale per eseguire tutte le sue sinfonie, compresa l’incompiuta Decima e lo straordinario Das Lied von der Erde, opera ponte tra sinfonia e Lied, tra oriente e occidente, tra fine e resurrezione.
Eppure, ciò che rende questo ciclo davvero significativo è la scelta, tutt’altro che scontata, di accostare al Mahler sinfonista anche il Mahler liederista, offrendo una lettura integrale dell’intero corpus dei Lieder, non solo orchestrati ma anche nella loro forma originaria, per voce e pianoforte.
Un gesto curatoriale che rivela la consapevolezza che l’essenza di Mahler non si esaurisce nell’imponenza orchestrale, ma si radica nell’intimità lirica, in quel teatro minimo dove la voce umana e il pianoforte si fondono in una confessione che ha la forza di una rivelazione.
La produzione liederistica di Mahler precede e accompagna quella sinfonica: è in essa che egli sperimenta, con prodigiosa intuizione, soluzioni armoniche, scarti melodici, tensioni retoriche che troveranno piena espressione nei movimenti delle sinfonie. Ma il Lied non è solo un luogo di prove: è un territorio poetico autonomo, una forma che Mahler esplora con rigore formale e profondità emotiva. Dai Lieder eines fahrenden Gesellen, intrisi di dolore amoroso e inquietudine esistenziale, alle Kindertotenlieder, laceranti canti sulla morte dei bambini, passando per la vertiginosa ricchezza espressiva dei Rückert-Lieder, ogni raccolta rivela un Mahler intimo, riflessivo, talvolta persino spoglio, ma mai meno radicale.
A differenza del Lied tardo-romantico, che spesso indulge nell’ornamento e nell’eccesso sentimentale, Mahler opera una sottrazione consapevole: la voce è messa a nudo, il pianoforte è complice ma non protagonista, l’emozione affiora senza teatralità. La parola, elemento centrale, viene cesellata con attenzione quasi filologica. Mahler ascolta i testi con orecchio di poeta: li serve, li interroga, li porta a maturazione musicale senza mai sovrastarli.
E così, nel corpus liederistico mahleriano non è raro trovare semi sinfonici: non pochi movimenti delle sinfonie — dalla Prima alla Quarta — sono esplicitamente tratti da Lieder, o ne ricalcano forma e struttura. Questo perché in Mahler il Lied non è antitesi della sinfonia, ma suo germe e sua estensione. Das Lied von der Erde, che chiuderà il festival di Amsterdam, è la forma più compiuta di questa dialettica: un’opera che rifiuta l’etichetta di “nona sinfonia” (forse per timore della maledizione di Beethoven), ma che in sei canti, ispirati a testi cinesi rivisitati in tedesco, riesce a condensare l’intero spettro espressivo mahleriano. Qui, il Lied si fa sinfonia interiore, percorso iniziatico verso il silenzio e la trascendenza.
Nella chiusa di Der Abschied, “l’addio”, Mahler sembra farsi portavoce di un’eternità rarefatta, dove ogni nota è sospensione, ogni parola un congedo. E in un’epoca, come la nostra, in cui il rumore spesso prevale sulla profondità, il Lied di Mahler acquista un valore che travalica la musicologia: è un gesto estetico e al tempo stesso politico.
In esso, Mahler ci ricorda che il vero sconvolgimento può abitare nel sussurro, che la verità più disarmante può essere detta sottovoce, con uno stacco armonico improvviso, con un respiro trattenuto, con un pianissimo che contiene tutta la disperazione del mondo. E se la sinfonia può, come Mahler voleva, contenere tutto, il Lied ci insegna che tutto può stare anche in pochi versi, in una sola frase musicale, in un silenzio carico di senso.
La scelta del Concertgebouw di non separare il Mahler monumentale da quello lirico è dunque non solo filologicamente fondata, ma artisticamente necessaria. È nella coesistenza tra il clangore orchestrale e la voce isolata, tra il titanismo e la fragilità, che Mahler rivela la sua natura più autentica: quella di un compositore che non ha mai cessato di interrogare l’umano, con mezzi giganteschi e mezzi minimi, ma sempre con una sincerità emotiva disarmante. In questo senso, il festival olandese non è soltanto una celebrazione del compositore, ma un atto di restituzione integrale: restituzione di un pensiero musicale che non si accontenta della forma, ma cerca la verità.