Nei Paesi occidentali i lavoratori immigrati vengono pagati meno di quelli autoctoni, e in alcuni Paesi - come la Spagna, uno dei nove presi in esame per uno studio sull'argomento - la forbice sfiora il 30 per cento.
Queste sono alcune delle conclusioni di uno studio pubblicato dalla rivista Nature, che analizza i dati di datori di lavoro e dipendenti di 13,5 milioni di persone provenienti da nove Paesi di accoglienza di immigrati in Europa e Nord America: Canada, Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia e Stati Uniti.
In Occidente la forbice tra gli stipendi degli immigrati e dei lavoratori locali resta ampia
Guidato da Are Skeie Hermansen dell'Università di Oslo, che da tempo si occupa di questa problematica, lo studio è stato condotto da ricercatori di oltre una dozzina di università in tutto il mondo.
Lo studio mirava a quantificare il divario salariale tra immigrati e nativi nei nove Paesi, nonché a identificare le origini di queste disparità salariali: se gli immigrati guadagnano meno perché finiscono in settori, professioni e aziende con salari più bassi, o se guadagnano meno perché sono pagati meno dei non immigrati per lo stesso lavoro nella stessa azienda.
L'articolo documenta che il divario salariale tra immigrati e nativi, che si attesta al 17,9% complessivo e in media, non è dovuto principalmente a salari diseguali per lo stesso lavoro, ma piuttosto al limitato accesso degli immigrati a settori, professioni e aziende con salari più elevati (noto come "smistamento").
Più specificamente, il 75% della differenza è dovuto all'assegnazione a lavori meno retribuiti, mentre il resto alle differenze salariali per lo stesso lavoro e nella stessa azienda (nota come disuguaglianza all'interno del lavoro).
Il divario salariale varia notevolmente tra i Paesi per gli immigrati di prima generazione. Spagna (29,3%) e Canada (27,5%) presentano i divari più ampi. Norvegia (20,3%), Germania (19,6%), Francia (18,9%) e Paesi Bassi (15,4%) hanno registrato divari medi.
Quelli più bassi rispetto alla popolazione locale sono stati riscontrati negli Stati Uniti (10,6%), Danimarca (9,2%) e Svezia (7,0%).
Nei Paesi in cui i dati erano disponibili (Canada, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia), i ricercatori hanno anche analizzato la situazione dei figli degli immigrati per verificare se gli stessi modelli di reddito persistessero attraverso le generazioni.
Per la seconda generazione, il divario complessivo si era ridotto al 5,7%, ma persiste ancora, in particolare per i figli degli immigrati provenienti da Africa e Medio Oriente. Il divario salariale all'interno dello stesso lavoro è in media, dell'1,1%.
Per gli autori dello studio, la ricerca ha importanti implicazioni politiche, in quanto indica se le misure di integrazione dovrebbero concentrarsi sulla parità di retribuzione per pari lavoro o sul miglioramento dell'accesso a lavori meglio retribuiti.
Questi risultati evidenziano l'importanza delle politiche volte a migliorare l'accesso, attraverso misure come la formazione linguistica, lo sviluppo delle competenze, l'assistenza nella ricerca di lavoro, le opportunità di istruzione nazionale, il riconoscimento delle qualifiche straniere e un migliore accesso a informazioni e reti rilevanti per l'occupazione.
Anche le politiche volte a contrastare i pregiudizi dei datori di lavoro nelle decisioni di assunzione e promozione possono essere efficaci, osservano gli autori della ricerca.