Nascosta tra i boschi antichi dell’Abruzzo, là dove i monti sembrano custodire segreti d’altri tempi, esiste una cittadina dal nome gentile e dal cuore indomito: Pettorano sul Gizio.
Un borgo che, nell’oblio di un’Italia sempre più sorda al richiamo della natura selvatica, ha saputo ridestarsi in un canto di rinascita, facendosi simbolo di una convivenza possibile e meravigliosa con la forza più autentica e indomita del territorio: quella dell’orso. Paradossalmente, non è stata una testata italiana a illuminare la grandezza di questa storia. È stata la BBC, la più antica emittente radiotelevisiva del mondo, a varcare i confini di questo piccolo universo dimenticato per raccontarne l’epopea.
Orsi: la lezione (dimenticata) di Pettorano sul Gizio
Ed è già qui che nasce la prima riflessione amara: come può un racconto così nostro, così profondamente legato alla terra e alla memoria collettiva, venire restituito almondo da voci straniere, mentre i media italiani pigramente tacciono? Con i suoi vicoli stretti sorvegliati da gatti pigri e le sue porte inchiodate dal tempo, Pettorano sul Gizio sembra un presepe immobile.
Eppure, pulsa di vita come pochi altri luoghi. Dove molti vedono solo decadenza - tetti crollati, cartelli “In vendita” scoloriti, bar chiusi dopo la morte dei proprietari -, qui si cela un esperimento sociale ed ecologico di rara potenza.
Da circa 5.000 anime nel 1920, oggi ne restano 390, ma la loro presenza ha un valore immenso: sono le sentinelle di un patto antico con la montagna, con il bosco, con l’orso.
"C’era un clima che era contro l’orso", ricorda Mario Cipollone, di Rewilding Apennines, con un tono che mescola dolore e speranza. Le sue parole, riportate dalla BBC, si riferiscono ai tempi cupi in cui Peppina, un’orsa ''problematica'' da 135 chilogrammi, seminava scompiglio alla ricerca di cibo. Le sue incursioni nei pollai e nei frutteti avevano acceso il risentimento degli abitanti, culminato tragicamente nel 2014, quando un giovane orso venne abbattuto da un allevatore dilettante.
"Dovevamo fare qualcosa in modo più pratico", continua Cipollone. Così, da quella tragedia è fiorita la rivoluzione.
Nel 2015, Pettorano sul Gizio è diventata la prima comunità ''bear-smart'' d’Italia. Un titolo che ha il sapore del futuro, ma anche del ritorno a un’armonia primigenia. Furono installate recinzioni elettriche attorno a più di cento proprietà, introdotti cassonetti anti-orso, distribuiti manuali di coesistenza. Non più trappole o fucili: solo intelligenza, rispetto e prevenzione. I risultati? Sorprendenti. Le incursioni degli orsi si sono ridotte del 99% in tre anni.
E dal 2020, secondo Salviamo l’Orso, non si registrano più danni.
''Abbiamo reso tutto a prova di orso'', afferma con giusto orgoglio Cipollone. La nuova protagonista si chiama Barbara: un’orsa maestosa che passeggia tra i vicoli al tramonto, osservata con meraviglia e rispetto. Non fa più paura. È diventata parte del paesaggio, come un campanile o un affresco. O, forse, qualcosa di più: un totem vivente che parla alla nostra parte più antica e poetica. È una storia che commuove e sorprende, tanto più perché in controtendenza. Perché mentre altrove - una regione a caso: il Trentino, dove la convivenza è fallita per colpa dell’uomo e oramai si invoca solo il piombo - si demonizza l’orso e si alimenta la paura, a Pettorano si è scelta la via più difficile, eppure più nobile: quella dell’ascolto e dell’adattamento.
"Questo posto mi ha fatto brillare di nuovo in un certo modo", confessa Valeria Barbi, giornalista ambientale e naturalista, che ha scelto di trasferirsi qui dopo una visita.
"Ero un po’ sopraffatta dalla situazione ecologica globale. Ma questi posti mi fanno pensare che possiamo fare qualcosa, che le best practice esistono''.
Parole che risuonano come un inno alla possibilità. Perché sì, la crisi climatica è reale, come lo è il declino delle aree interne, lo spopolamento, la perdita di senso delle piccole comunità. Ma esistono luoghi che raccontano un’altra storia, dove la fragilità diventa forza, e il silenzio del bosco si fa linguaggio comune. Non è solo questione di orsi. È una questione di visione. Di comunità. Di futuro.
Oggi Pettorano è una calamita per giovani e naturalisti, per turisti attenti e viaggiatori inquieti.
Milena Ciccolella, proprietaria del ristorante Il Torchio, racconta come il rewilding abbia dato una nuova linfa economica al paese: "Una vera ancora di salvezza in termini economici''. Tanto che ora il menu propone piatti vegetariani, un tempo impensabili. Anche la gastronomia, in questo microcosmo incantato, si è adattata alla nuova sensibilità. Mario Finocchi, presidente della Cooperativa Valleluna, parla di "una tendenza crescente nella presenza di turisti nella zona''. I dati lo confermano: da 250 visitatori nel 2020 a oltre 2.400 nell’ultimo anno. Alcuni, arrivati per caso, hanno finito per restare. "C’è una nuova giovane comunità che sta lavorando per arricchire socialmente e culturalmente la città", aggiunge Finocchi.
E così, quando la sera cade sui tetti color ocra e arancio, decine di persone si raccolgono davanti a La Pizzicheria di Costantino, tra birre a tema orso e prosciutti locali, celebrando una quotidianità diversa, fondata su ritmi antichi e nuove consapevolezze. "Ci siamo innamorati e abbiamo deciso di investire nella zona - dice il proprietario Massimiliano del Signore -. Non si tratta solo di turismo. Si tratta di far credere alla gente che può rimanere qui e avere una vita molto bella''.
E allora, forse, Pettorano sul Gizio è molto più di un borgo montano con qualche orso. È un laboratorio di civiltà. Un’utopia realizzata. Un esempio che urla silenziosamente una verità scomoda: dove c’è volontà, visione e amore per la propria terra, tutto è possibile. Anche convivere con l’orso. Anche tornare a vivere in un’Italia che sembra voler dimenticare sé stessa. E lo ribadisco: il fatto che a raccontare questa storia sia stata la BBC e non una testata italiana, è sintomo di quel torpore mediatico che sembra ignorare le gemme preziose che fioriscono nelle pieghe del nostro Paese.
Perché realtà come quelle di Pettorano (e ce ne sono) dovrebbero essere sui giornali ogni settimana, a ogni ora, ogni volta che si discute di ambiente, spopolamento, convivenza uomo-natura. E invece, nulla. Nulla, se non il riflesso gentile di un occhio straniero che sa ancora cogliere la bellezza dove noi vediamo solo il vuoto. Ma il vuoto, a Pettorano, è stato colmato. Colmato di alberi, di orsi, di giovani idee, di silenzi abitati. E, forse, di futuro.