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Un balzo nel tempo, ma non verso mondi lontani o futuri distopici: piuttosto, un salto nel passato recente, in quell’età in cui i nostri genitori erano ragazzi come noi. È questa l’intuizione geniale che rese immortale "Ritorno al futuro", il capolavoro firmato da Robert Zemeckis e Bob Gale che, a quarant’anni dalla sua uscita, resta una pietra miliare del cinema popolare.
Quarant’anni di “Ritorno al futuro”: il film che ha riscritto la fantascienza
Un film che ha saputo raccontare la propria epoca con precisione, restando però incredibilmente attuale. Prima di quella mitica corsa sulla DeLorean a 88 miglia orarie, il viaggio nel tempo era affare da romanzi visionari o racconti filosofici. Jules Verne ci aveva portati nel cuore della Terra, H.G. Wells tra i Morlock e gli Eloi. Ma mai nessuno aveva osato esplorare la vertigine intima di un figlio che incontra i propri genitori quando avevano la sua età. L’idea, come spesso accade, nacque per caso. Bob Gale, co-sceneggiatore e produttore, sfogliando l’annuario del liceo del padre, fu colto da un lampo: "Boom! È stato allora che mi ha colpito il fulmine. Ho pensato: sarebbe fantastico se un ragazzo tornasse indietro nel tempo e finisse al liceo con suo padre!".
Quella che poteva sembrare una semplice fantasia adolescenziale racchiudeva invece una carica narrativa universale, capace di interrogare sul destino, sull’identità e sul rapporto con chi ci ha generati. Eppure, portare questa storia sul grande schermo fu tutt’altro che facile. Il progetto fu snobbato da decine di studi, giudicato troppo strano o rischioso. Finché non intervenne Steven Spielberg, che ne riconobbe subito il potenziale e accettò di produrlo. Il resto è storia. Robert Zemeckis, fresco del successo di "All’inseguimento della pietra verde", fu la mente registica perfetta. Ma anche il casting riservò sorprese. Il ruolo di Marty McFly fu inizialmente affidato a Eric Stoltz.
Ma qualcosa non funzionava. "Stoltz lo recitava come una tragedia", racconta al Guardian Gale. "Non dava al personaggio l’umorismo che volevamo". Il clima sul set si fece teso. "Era mio amico, è stato orribile", ricorda Lea Thompson, interprete di Lorraine. "Quando qualcuno viene licenziato ti accorgi che il cinema è anche una macchina spietata: milioni di dollari in gioco, decisioni drastiche, nessuna certezza". Fu allora che arrivò Michael J. Fox, travolgente, preciso, irresistibile. Portò in scena un Marty comico e vibrante, con una recitazione ritmata, quasi fisica, ispirata ai grandi del passato come Chaplin o Stanlio e Ollio. "Era una recitazione diversa, fresca", racconta Thompson. "Era comica, ma vera, un ritorno al passato che sembrava rivoluzionario".
Accanto a lui, il Doc Brown di Christopher Lloyd, ispirato da un fotografo eccentrico e da trasmissioni educative come Mr. Wizard, arricchito da sfumature alla Einstein e gesti teatrali da direttore d’orchestra. Un personaggio che è entrato nell’immaginario collettivo, come la macchina del tempo stessa: la mitica DeLorean. Il film fu un successo immediato, con oltre 200 milioni di dollari d’incasso solo negli Stati Uniti. Ma più ancora dei numeri, fu l’impatto culturale a consacrarlo. Perché "Ritorno al futuro" diventò uno di quei film che si rivedono infinite volte senza perdere magia.
Come ''La vita è meravigliosa'' o "Ricomincio da capo", è un rituale, una comfort zone cinematografica. Col tempo, però, alcune sequenze sono state rilette con sguardo critico. Nei recenti adattamenti teatrali, ad esempio, è scomparsa la scena dei terroristi libici – figlia delle tensioni politiche dell’epoca –, mentre momenti come quello di George McFly che spia Lorraine oggi appaiono meno innocenti. E il finale, in cui il successo personale coincide con l’ascesa materiale, riflette inevitabilmente il clima reaganiano degli anni ’80. Anche la struttura narrativa del film – il confronto tra gli anni ’50 e gli anni ’80 – è figlia di un’epoca in cui il cambiamento era tangibile.
"Se oggi tornassimo indietro di 30 anni, ci ritroveremmo nel 1995", osserva Thompson. "Ma a parte i telefoni, nulla sembrerebbe così diverso. Non come tra i '50 e gli '80. All’epoca il mondo cambiava sul serio". Una considerazione che rende il viaggio temporale di Marty ancora più affascinante: ci mostra un mondo ormai scomparso. Ma al centro del film c’è anche un’amicizia fuori dagli schemi: quella tra Marty e il Doc. Una relazione atipica, oggi probabilmente fraintesa.
"Se proponessimo ora il film, ci direbbero: ‘Ma cos’è questa cosa tra un adolescente e uno scienziato anziano?’", ironizza Gale. "Penserebbero subito a qualcosa di morboso. E invece era solo un’amicizia genuina, divertente, fuori dalle convenzioni". Eppure, Ritorno al Futuro parlava a tal punto al suo tempo da finire persino nel discorso sullo Stato dell’Unione del presidente Reagan, che si divertì così tanto per la battuta "Ronald Reagan? L’attore?" da citare il film pubblicamente: "Dove stiamo andando, non abbiamo bisogno di strade".
Il successo generò due sequel. Il secondo, ambientato in un allora futuristico 2015, fece scalpore per le sue invenzioni tecnologiche e per un Biff Tannen diventato magnate dei casinò, figura che molti hanno paragonato a Donald Trump. Gale, però, puntualizza: "Nel primo film Biff non è basato su Trump. Ma quando diventa un uomo d’affari senza scrupoli, certo, Trump è entrato nell’immaginazione collettiva. Come lui, anche Biff mette il proprio nome ovunque". E poi c’è la vicenda umana di Michael J. Fox. A 29 anni la diagnosi: morbo di Parkinson. Una tragedia personale che non ha spento il suo carisma. Fox ha continuato a recitare, a sensibilizzare, a ispirare. "È una persona intelligente, che ha fatto un grande lavoro su se stesso", racconta ancora Thompson.
"Non è diventato amaro. Ha accettato la malattia, pur riconoscendone la crudeltà". Oggi, Ritorno al Futuro è rinato anche a teatro, come musical. Bob Gale ha firmato il libretto e racconta al Guardian l’emozione della prima: "Ero in estasi. Vedere la DeLorean entrare in scena e sentire il pubblico impazzire è stato incredibile. È un privilegio fare un lavoro che rende felici le persone".
Forse è proprio questo il segreto della sua longevità. Dietro l’avventura, le gag, la macchina del tempo, c’è un pensiero che tocca ognuno di noi: chi erano i nostri genitori prima di diventare tali? Come si sono conosciuti? Erano davvero così diversi da noi? "Ogni persona si chiede: come sono arrivato qui?", riflette Gale. E in tal senso, Ritorno al Futuro ci offre una risposta: magari surreale e a tratti commovente, ma che di sicuro ancor oggi continua è capace di farci sognare.