Nel 2023, il commercio bilaterale di merci tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto un valore complessivo di 575 miliardi di dollari, confermandosi uno dei rapporti economici più significativi a livello globale nonostante le tensioni geopolitiche, le barriere tariffarie e il crescente clima di competizione strategica.
USA-Cina, 575 miliardi di scambi nel 2023: disavanzo record per Washington
Secondo i dati del Centro studi di Unimpresa, il disavanzo commerciale a sfavore degli Stati Uniti si è attestato a 279 miliardi di dollari, con importazioni dalla Cina pari a 427 miliardi e esportazioni verso Pechino limitate a 148 miliardi: questo squilibrio ha rappresentato circa il 40% dell’intero deficit commerciale statunitense nel 2023.
La struttura degli scambi conferma la dipendenza americana da beni di consumo e manufatti a basso costo provenienti dalla Cina: elettronica di largo consumo, componentistica per l’hi-tech, elettrodomestici, tessili, mobili e giocattoli. Al contrario, l’export statunitense si è concentrato su prodotti ad alto contenuto tecnologico o strategico, come aeromobili civili, macchinari industriali, semiconduttori, apparecchiature mediche, ma anche derrate agricole come soia, mais e carni bovine.
Tuttavia, l’accesso al mercato cinese resta ostacolato da vincoli normativi, pratiche protezionistiche e una forte presenza di imprese statali, che limitano le potenzialità espansive dell’export USA. Sebbene il deficit sia leggermente diminuito rispetto ai picchi registrati durante la guerra commerciale avviata nel 2018 dall’amministrazione Trump, quando superò i 400 miliardi, la sua natura strutturale non è mutata, testimoniando un’interdipendenza profonda e difficilmente reversibile.
Il mantenimento da parte dell’amministrazione Biden di gran parte delle tariffe imposte negli anni precedenti, unito alla promozione di politiche industriali volte a ridurre la dipendenza dai fornitori cinesi in settori chiave quali microchip, batterie, tecnologie verdi, conferma la volontà di ribilanciare il rapporto commerciale senza però interrompere i flussi. Pechino, dal canto suo, ha intensificato la diversificazione dei mercati di sbocco, puntando su Asia, Africa e America Latina, ma continua a considerare il mercato americano centrale per valore e prestigio. La portata degli scambi bilaterali sottolinea inoltre l’inefficacia, almeno nel breve periodo, di una strategia di decoupling totale, che si scontra con l’integrazione delle filiere produttive.
Le dinamiche tra Washington e Pechino avranno ricadute dirette anche sull’Europa e sull’Italia: la progressiva riallocazione delle catene del valore e la ricerca di fornitori alternativi potrebbero generare nuove opportunità per le imprese italiane in settori ad alta specializzazione come l’agroalimentare, la meccanica, il design, la moda e il farmaceutico.
Tuttavia, un’escalation nei rapporti, con nuovi dazi e misure di ritorsione, potrebbe penalizzare l’export italiano sia verso gli Stati Uniti sia verso la Cina. In questo contesto, sarà determinante il ruolo dell’Unione Europea nel definire una linea autonoma e strategicamente coerente, capace di difendere l’industria continentale e garantire margini di manovra alle imprese nazionali. Per l’Italia, che fonda una parte essenziale della propria crescita economica sull’export, la ridefinizione degli equilibri globali tra le due superpotenze rappresenta non solo un fatto di geopolitica, ma un nodo cruciale di politica industriale ed economica.