Intervista esclusiva al presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, sul taglio della Politica agricola comune nel nuovo bilancio UE e le conseguenze per l’agroalimentare italiano.
Un taglio draconiano del 20% della Pac, la politica agricola comunitaria, nel Quadro finanziario pluriennale 2028-2034. Come se lo spiega, considerando che prevede anche l’accorpamento delle risorse per lo sviluppo rurale in un fondo unico? E che complessivamente la Commissione ha proposto un bilancio pluriennale da 2.000 miliardi, pari all’1,26% del prodotto lordo Ue?
Un disastro annunciato, una vera e propria follia che mette a rischio la produzione di cibo in Europa svuotando gli scaffali, facendo aumentare le importazioni dall’estero ed esponendo i prezzi del cibo alle fluttuazioni dei mercati, con un impatto devastante sulle tasche dei cittadini europei, sulla vita degli agricoltori e sulla stessa food security del continente. La Commissione Ue non poteva fare scelta peggiore.
Contro questo taglio Coldiretti ha protestato sia a Bruxelles che a Roma. Avete già avuto dei riscontri dopo le proteste?
Le proteste non si sono certo esaurite con le manifestazioni nelle capitali. Abbiamo davanti a noi due anni decisivi per contrastare questa deriva, tutelare gli agricoltori e impedire che si spenga il sogno europeo. Ecco perché abbiamo annunciato una mobilitazione permanente: non accettiamo l’idea che si possano sottrarre risorse alle imprese agricole e al cibo sano per destinarle agli armamenti, mettendo a rischio la salute dei cittadini e indebolendo un settore strategico per l’Europa e, in particolare, per l’Italia: l’agricoltura e l’agroalimentare.
Che cosa comporta, in termini economici, per l’agricoltura italiana? E ci sono rischi anche in termini occupazionali in un settore che per il nostro PIL è importante?
Le scelte della Commissione Ue mettono di fatto a rischio una filiera allargata che vale 707 miliardi di euro, il 35% in più rispetto a un decennio fa, e che vede come primo motore proprio l’agricoltura italiana, assieme all’industria, alla grande distribuzione e alla ristorazione. Un patrimonio che è diventato il primo motore di sviluppo economico del Paese, impiegando 4 milioni di lavoratori.
Lei ha parlato di una scelta politica della presidente della Commissione Ursula von der Leyen. In che senso pensa che sia stata una sua scelta, dettata da cosa?
La Presidente Von der Leyen ha voluto dimostrare che comanda solo lei. Ha deliberatamente ignorato la posizione del Parlamento europeo e dei governi che si sono largamente espressi contro il fondo unico. Ecco perché parliamo di deriva autocratica. Se la prassi prevale sulle regole, la democrazia è a rischio.
Lei ha sostenuto che il commissario all’Agricoltura Hansen, che dichiara di aver salvato l’80% del budget Pac, avrebbe dovuto dimettersi, visto il taglio di un quinto delle risorse precedenti che anche lui aveva votato.
Lo confermo: avrebbe dovuto trarre le conseguenze e, per sua dignità, dire “ho perso e mi dimetto”. Così invece il commissario Hansen potrebbe passare alla storia per aver smantellato la Politica agricola comune. Per la prima volta dal 1962, l’Europa non ha più uno strumento chiaramente dedicato al sostegno della produzione di cibo e alla sicurezza degli approvvigionamenti alimentari.

I tagli alla Pac sono estesi anche ad altre poste di bilancio e, lei lascia intendere, sono finalizzati al finanziamento di una nuova politica di difesa europea che pure, alla luce degli ultimi impegni in sede Nato e del quadro geopolitico, diventano importanti.
Una scelta assolutamente miope. Qualsiasi strategia di difesa dell’Europa deve partire dalla garanzia della sicurezza alimentare, ovvero dalla possibilità di assicurare a tutti i cittadini cibo sano a un prezzo giusto. In caso contrario si finisce ostaggio dei mercati e delle scelte di altri Stati che, al contrario della Ue, hanno rafforzato il proprio sostegno all’agricoltura. Penso agli Stati Uniti, ma anche alla Cina. Far pagare il riarmo ai contadini è una decisione irresponsabile, che mette in pericolo tutti i cittadini.
Che cosa si aspetta dal governo e dal parlamento italiano per correggere o mitigare questa scelta?
Adesso spetta ai capi di Stato e di governo intervenire per arrestare questa preoccupante deriva autocratica, resa ancora più evidente da un bilancio tanto irrazionale quanto pericoloso. In modo paradossale, siamo costretti ad affidarci alla regola dell’unanimità per difendere la democrazia europea. I governi devono impegnarsi fino in fondo per impedire la fine della politica agricola in Europa.
Il fatto che una proposta di questo genere arrivi mentre si discute ancora del tema dei dazi ha sicuramente una sua importanza. Cosa rischia l’agricoltura italiana, e il Made in Italy, dal combinato disposto di queste due misure?
Tagli alla Pac e dazi rappresentano la tempesta perfetta che può devastare un settore chiave per l’economia del Paese. L’impatto della riduzione del 20% dei fondi rischia di vanificare il lavoro fatto in questi anni sul fronte dell’innovazione e della sostenibilità. Con i dazi al 30%, il danno stimato per i cittadini americani e la filiera agroalimentare italiana ammonta a 2,3 miliardi di euro, tra possibile calo delle vendite, deprezzamento delle produzioni, aumento dei costi di stoccaggio, perdita di quota di mercato e posizionamento sugli scaffali.
Sappiamo bene che in termini di dazi la trattativa è ancora aperta. Eppure la preoccupazione dell’Italia produttiva aumenta. Anche perché ai dazi si somma un deprezzamento del dollaro di oltre il 10%, che è già una realtà.
Sì, la diminuzione dei consumi sul mercato americano non è data solo dallincertezza dei dazi: c’è linflazione in aumento e c’è anche una svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro che rende i nostri prodotti più cari. Se andiamo a sommare tutto questo al 30% di dazi, avremmo un effetto quasi insostenibile per la nostra economia. Si parla della perdita di oltre l’1,5% di PIL europeo a rischio.
Ha già avuto modo di parlare di questo con il nostro ministro dell’Agricoltura Lollobrigida e con la stessa presidente Meloni?
Poche ore dopo la presentazione del nuovo bilancio Ue abbiamo chiesto un incontro urgente alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, il quale si era già pronunciato contro l’ipotesi del fondo unico insieme ad altri 14 ministri europei, definendola “una involuzione delle politiche europee che potrebbe rivelarsi molto pericolosa”. Serve un miglioramento radicale della proposta di bilancio attuale.