Cinema & Co.

Berlino, Estate ’42. La Resistenza tedesca al regime nazista diventa un film

di Teodosio Orlando
 
Berlino, Estate ’42. La Resistenza tedesca al regime nazista diventa un film

Contrariamente a una certa opinione comune diffusa, non tutti i tedeschi, durante la Seconda guerra mondiale, seguirono ciecamente le direttive del regime nazista, fino a trasformarsi nei Volenterosi carnefici di Hitler (Hitler’s Willing Executioners), per citare il titolo di un fortunato libro dello storico statunitense Daniel Jonah Goldhagen, pubblicato nel 1996. Ci fu infatti anche una Resistenza anti-nazista, interna e attiva, benché spesso poco più che simbolica. La memoria di questa Resistenza riaffora ora sul grande schermo con Berlino, Estate ’42 (titolo originale: In Liebe, Eure Hilde), l’ultimo film del regista Andreas Dresen che racconta la tragica e coraggiosa storia di Hilde e Hans Coppi, membri dell’Orchestra Rossa, uno dei movimenti clandestini più attivi nella Germania hitleriana. Con un approccio intimo e lontano dalla retorica, il film ci trascina nelle atmosfere di un’estate irripetibile, segnata dall’amore e dalla lotta per la libertà, prima dell’inevitabile repressione del regime. Il film si distingue per la sua capacità di raccontare una storia di resistenza antinazista con una profondità emotiva e una delicatezza narrativa davvero rare, usando poi mezzi espressivi alquanto essenziali e scarni. Attraverso una narrazione che alterna momenti di tenerezza e di dramma, il film non solo ricorda le atrocità del regime nazista, ma celebra anche il coraggio di chi ha scelto di opporsi, spesso pagando con la vita.

Lo stesso nome dell’organizzazione fu, paradossalmente, una “creazione” della Gestapo, che indagava sui gruppi che si opponevano al nazionalsocialismo durante la Seconda guerra mondiale:  il nome in codice di Rote Kapelle (Orchestra Rossa) alludeva con l’aggettivo “Rot” (“rosso”) al comunismo, e con “Kapelle” (letteralmente “orchestrina”) al fatto che l’organizzazione ruotasse intorno a un gruppo di operatori radio. Si trattava di giovani attivisti che comprendevano, come membri prominenti, Harro Schulze-Boysen, Arvid Harnack, Ilse Stöbe a Berlino e nel contiguo Land di Brandeburgo. Ma non mancavano gruppi di resistenza indipendenti di intelligence a Parigi e Bruxelles, che Leopold Trepper aveva creato per conto del servizio segreto militare sovietico (GRU). Contrariamente alla leggenda inventata dalla Gestapo, l’“Orchestra Rossa” non era né guidata dai comunisti né agiva sotto una leadership unificata: era piuttosto una rete di gruppi individuali e di persone provenienti da diverse regioni e con diversi orientamenti ideologici. A tutt’oggi si conosce il nome di circa 400 persone dell’“Orchestra Rossa” che stampavano volantini, aiutavano gli ebrei e i membri dell’opposizione e documentavano i crimini del regime nazista. Tra i membri più importanti di quest’organizzazione ci fu Arvid Harnack, un attivista clandestino del KPD (il Partito comunista tedesco) che lavorava per i servizi segreti sovietici fin dal 1932 ed era un alto funzionario del Ministero dell’Economia del Reich. Troviamo poi Harro Schulze-Boysen, che era un ufficiale antifascista reclutato da Harnack, benché lavorasse al quartier generale della Luftwaffe, l’aviazione del Terzo Reich. La rete di Harnack/Schulze-Boysenn contava circa 100 persone ed era talmente integrata nella “All-Berlin” che per molti anni fu in grado di fornire al GRU informazioni della massima importanza: informazioni tecniche sulle armi, orari e piani delle offensive, ordine di battaglia dell’esercito di Hitler, ecc.

Uno dei suoi membri, Horst Heilmann, un attivista della gioventù comunista che aveva finto di passare nelle file dei nazisti, lavorò persino nel servizio di decrittazione dell’Abwehr, il servizio segreto dell’esercito tedesco, come ci spiega Thierry Derbent nel libro La Résistance communiste allemande 1933-1945 (Bruxelles, 2008). «Questa rete è costata alla Germania la vita di 200.000 soldati», scrisse il capo dell’Abwehr, l’ammiraglio Canaris, mentre un rapporto delle SS del 22 dicembre 1942 affermava che la pericolosità del gruppo era dimostrata dal fatto che disponesse di agenti nei ministeri dell’Aeronautica, dell’Economia, della Propaganda e degli Affari esteri, nel Comando supremo, nello Stato maggiore della Marina, nell’Università di Berlino, nell’Ufficio politico-razziale, nell’Amministrazione della città di Berlino e nel Servizio nazionale di difesa del lavoro. Le persone arrestate erano pronte ad aiutare, con ogni mezzo, l’Unione Sovietica nella guerra contro la Germania, secondo quanto affermavano gli ufficiali dei servizi di sicurezza del Reich. Klausen divenne comunista dopo essere stato un attivista sindacale nell’Internazionale dei marittimi e dei portuali. Unici sopravvissuti dei quadri  della rete di spionaggio “Ramsay” dopo la liberazione, Max Klausen e sua moglie (che era stata un corriere ed era stata anche lei imprigionata) trascorsero il resto della loro vita nella Germania Orientale, prima sotto il cognome di Christiansen (la Germania Est aveva chiesto loro di mantenere il segreto sul loro coinvolgimento nel GRU) e poi riprendendo il loro vero cognome quando le autorità comuniste revocarono il segreto sul loro passato.

Uno degli aspetti più riusciti del film è la rappresentazione accurata e soffocante della Germania del 1942. Dresen non cade nella trappola di dipingere i nazisti come caricature di un’incarnazione del male puro e assoluto, ma ne mostra la terrificante normalità, quasi a riprendere la vecchia tesi di Hannah Arendt nel resoconto sul processo al gerarca nazista Adolf Eichmann (Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil): sono uomini che riescono a combinare gesti di cortesia formale con ordini di morte, burocrati del terrore che schiacciano ogni dissenso con procedure efficienti e apparentemente razionali.

Del resto, in modo un po’ straniante e inquietante, in Berlino, Estate ’42 le atrocità del regime nazista non vengono mostrate attraverso immagini esplicite di violenza, ma attraverso la sofferenza silenziosa dei personaggi. Hilde Coppi, interpretata da una straordinaria Lisa Fries, è una giovane donna incinta che viene arrestata dalla Gestapo e costretta a partorire in carcere. La sua storia è un microcosmo delle ingiustizie e delle crudeltà del regime: la privazione della libertà, la separazione dalla famiglia, la condanna a morte per aver osato opporsi a un sistema oppressivo.

L’arresto di Hilde da parte della Gestapo è emblematico di questa realtà: l’agente che la cattura la tratta con gentilezza, le tocca il ventre con curiosità perché è incinta, ma ciò non toglie nulla alla crudeltà del suo destino. Questo contrasto tra la banalità del male e la ferocia dell’apparato repressivo è un tratto distintivo della pellicola. Ma non bisogna trascurare il fatto che, quando lo ritenevano necessario, le autorità naziste non indulgevano a particolari gentilezze. «Tutti i mezzi immaginabili per estorcere il maggior numero di informazioni vennero utilizzati dagli aguzzini, con sedute infinite di interrogatori fino allo sfinimento», come osserva lo storico Tommaso Speccher in un libro fresco di stampa (Storie della Resistenza tedesca, Roma-Bari, Laterza, 2025).

Il film ci conduce nelle prigioni del regime, tra interrogatori spietati e processi sommari, in un crescendo di tensione che culmina nell’orribile epilogo: Hilde partorisce il figlio in carcere e viene poi giustiziata con il metodo della decapitazione tramite ghigliottina, pratica barbara che il nazismo aveva reintrodotto come strumento di terrore.

La crudeltà del regime nazista è resa ancor più evidente nel modo in cui Dresen mostra la sistematicità delle esecuzioni. La macchina della morte nazista non si basava solo sull’eliminazione fisica, ma anche sulla completa disumanizzazione delle vittime. Il film enfatizza il senso di terrore costante in cui vivevano i membri della Resistenza, sottolineando come il semplice possesso di un volantino o una conversazione sospetta potessero condurre all’arresto e alla morte.

Va anche detto che il movimento dell’Orchestra Rossa è meno noto al grande pubblico rispetto a quello della Rosa Bianca, che operò a Monaco di Baviera (e su cui è da vedere il film del 2005 La Rosa Bianca - Sophie Scholl [Sophie Scholl - Die letzten Tage] diretto da Marc Rothemund, con Julia Jentsch), ma la loro missione si concretizzò in modalità molto simili: diffondere volantini, scrivere slogan sui muri, denunciare le atrocità del regime. Il film mostra come, in un’epoca di oppressione assoluta, anche i più piccoli gesti di ribellione potessero costare la vita. Hilde e Hans, come Sophie e Hans Scholl, si battono per la verità con la consapevolezza che il loro sacrificio potrebbe non portare frutti immediati. Il film non si limita a mostrare il lato oscuro del nazismo, ma si concentra anche sui piccoli gesti quotidiani che si traducono in quella resistenza sommersa o appena emersa che forse era l’unica possibile. Hilde e Hans, insieme coi loro compagni, non sono supereroi, ma persone comuni che hanno scelto di agire secondo coscienza. La loro resistenza non è fatta di grandi azioni spettacolari, ma di volantini, messaggi cifrati e piccoli atti di disobbedienza che, nel loro insieme, rappresentano una sfida al potere totalitario. Entrambi i movimenti sono esempi di resistenza non-violenta, basata sulla diffusione di idee e sulla consapevolezza che la verità e la giustizia devono essere difese, anche a costo della vita.

Ma il parallelo tra i due movimenti è evidente anche nel modo in cui entrambi i film rappresentano i loro protagonisti: non come eroi monumentali, ma come giovani pieni di vita, amore e speranza. Hilde e Hans non sono combattenti a tempo pieno, ma ventenni che sognano un futuro migliore e che, nonostante il terrore del regime, trovano il coraggio di agire. Questo approccio umanizza la resistenza, rendendola accessibile e riconoscibile per lo spettatore contemporaneo.

Ma come la Rosa Bianca, anche l’Orchestra Rossa ha diffuso un seme destinato a germogliare dopo la caduta del Terzo Reich. La differenza principale tra i due movimenti risiede nei loro metodi e nelle loro affiliazioni ideologiche. Mentre la Rosa Bianca si fondava su un’opposizione umanista e cristiana al nazismo, l’Orchestra Rossa aveva legami più stretti con l’Unione Sovietica e il comunismo. Questo dettaglio, sebbene solo accennato nel film, è cruciale per comprendere come le varie anime della Resistenza tedesca fossero diverse tra loro, ma unite da un obiettivo comune: abbattere Hitler e il suo regime. Sull’argomento si diffonde molto il citato libro di Tommaso Speccher sulla cui copertina compare la figura di un uomo, colorata in rosso, unico tra una folla di mani a non ergersi nel saluto nazista. È il simbolo di chi, nella solitudine si opponeva alla dittatura. L’immagine sembra autentica: deriva da una foto scattata durante una visita di Hitler ai cantieri navali di Amburgo nel 1936. Ci voleva molto sangue freddo per manifestare in quel modo una sia pur piccola opposizione. Molti hanno pagato con la vita tanto coraggio. Nel libro di Speccher, che si avvale di fonti originali, viene demitizzata la communis opinio per cui in Germania tutti o quasi stiano stati consenzienti o perlomeno succubi durante i dodici anni del Terzo Reich. Il capitolo del Widerstand tedesco (la Resistenza) deve invece, secondo l’autore, essere scritto per intero, anche per meglio comprendere la Repubblica Federale Tedesca nata nel dopoguerra sulle macerie del passato regime. Lo studio della Resistenza tedesca serve, quindi, sia a comprendere la democrazia pluralista della Germania di oggi, sia come laboratorio per il futuro. Non tanto perché il passato si ripeta, ma perché il passaggio dalla Repubblica di Weimar alla repressione violenta di qualsiasi dissenso è per noi un monito prezioso.

Alla presa del potere di Hitler non erano pronti a organizzare forme di resistenza né i socialdemocratici, ancora fiduciosi nella dialettica parlamentare, né i partiti di estrazione cattolica e protestante, poco inclini a rifiutare comunque, per ethos proprio, l’appoggio all’apparato istituzionale. Mentre la sinistra marxista, ossia il Partito comunista tedesco (KpD, Kommunistische Partei Deutschlands), fu semplicemente represso nel sangue, con l’arresto e poi l’esecuzione del segretario generale, Ernst Thälmann. Sicché l’alternativa fu solo la clandestinità, per chi volesse opporsi seriamente. Ci furono anche forme di resistenza non-violenta, ovvero atti più o meno espliciti di disobbedienza civile, talora repressi e talora perfino tollerati, salva fatta la rimozione del “disobbediente” dal posto di lavoro o un suo trasferimento punitivo. E in effetti, per assistere a un atto di resistenza davvero esplicito e “armato”, bisognò aspettare la cosiddetta “Operazione Valchiria”, che portò al fallito attentato a Hitler il 20 luglio del 1944. Il tentativo, capeggiato dal colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, viene oggi ripensato come l’estremo e tardivo tentativo di un gruppo di ufficiali tedeschi per cambiare il corso della Seconda guerra mondiale, pur essendone stati protagonisti. È lo spirito della tradizione militare prussiana, che si illudeva di poter distinguere tra la politica connessa all’interesse dei partiti e lo Stato connesso all’interesse nazionale.

Dresen non si limita a mostrare l’orrore della giustizia nazista, ma invita implicitamente a una riflessione più ampia sulla pena di morte in generale. Le scene dell’esecuzione nel carcere di Plötzensee sono raggelanti nella loro metodicità: non c’è bisogno di enfasi, perché la semplice sequenza dell’attesa e del verdetto bastano a condannare, senza appello, ogni forma di “giustizia” che preveda l’annientamento fisico del condannato. Il film ci ricorda come il potere, quando è assoluto, si arroga il diritto di decidere chi ha il diritto di vivere e chi no. Una riflessione che resta attuale, in un mondo in cui la pena capitale è ancora in vigore in molti paesi (dalla Cina all’Iran, fino agli Stati Uniti di Trump, che ha revocato la moratoria del suo predecessore Biden, relativamente alle esecuzioni a livello federale). Del resto, come ci ricorda Karl R. Popper (La società aperta e i suoi nemici), richiamandosi a una sentenza di Lord Acton, il potere corrompe, ma il potere assoluto corrompe assolutamente.

Le esecuzioni naziste, con la loro precisione burocratica e il loro intento intimidatorio, sono una dimostrazione perfetta di come la pena di morte non sia mai uno strumento di giustizia, ma piuttosto un mezzo di oppressione e vendetta istituzionalizzata. La pena di morte è qui mostrata come una violazione dei diritti umani fondamentali, un atto di crudeltà che non solo priva le persone della vita, ma anche della dignità. In modo volutamente grottesco, si mette in evidenza come il Führer in persona avesse deciso di differire l’esecuzione di Hilde per consentirle di partorire e poi di accudire il figlio. Ma la cosa non deve essere fraintesa, se prestiamo meglio attenzione al modo in cui il regista rappresenta l’evento: non è un atto di pietà, ma semmai un modo un po’ obliquo di anteporre le esigenze del moltiplicarsi della “razza” tedesca anche a quelle di eliminare i nemici. Infatti a quest’apparente pietà non farà seguito nessuna clemenza finale: la grazia sarà negata, con un certo rammarico espresso da una delle sorveglianti.

Non bisogna comunque evitare di sottolineare che si tratta di un film rigorosamente storico, benché possa evocare scenari di fantapolitica dispotica come nel romanzo di Aldous Huxley, Brave New World. Sebbene il contesto sia diverso, il parallelismo è evidente: entrambe le opere esplorano il tema del controllo sociale e della resistenza individuale. Nel romanzo di Huxley, tuttavia, la società è controllata attraverso il condizionamento psicologico e il consumo di massa, mentre nel film di Dresen il regime nazista cerca di imporre il suo potere attraverso la paura e la repressione.

Inoltre, mentre il mondo di Huxley è caratterizzato da una passività generalizzata, il film di Dresen celebra la capacità degli individui di resistere e di agire secondo i princìpi della coscienza morale. Hilde e Hans rappresentano una speranza in un mondo altrimenti dominato dall’oppressione, dimostrando che, anche nelle circostanze più buie, è possibile mantenere la propria umanità e lottare per un futuro migliore.

Un altro aspetto significativo del film è il ruolo delle donne nella resistenza. Hilde Coppi non è solo una moglie e una madre, ma anche una combattente che rischia la vita per i suoi ideali. La sua storia è un esempio di come le donne abbiano svolto un ruolo cruciale nella lotta contro il nazismo, spesso in modi meno visibili ma non per questo meno importanti. Il film mostra come la resistenza non sia stata solo un affare di uomini, ma abbia coinvolto donne coraggiose che hanno lottato per la libertà e la giustizia.

La fotografia di Judith Kaufmann è un altro punto di forza del film. I lunghi piani sequenza che evocano la fatica della vita in prigione, i flashback inondati di luce che ricordano l’estate infinita di Hilde e Hans (in un contesto dove una certa libertà dei costumi, anche sessuali, era molto più tollerata di quanto si pensi), e le scene d’amore sensuali ma delicate contribuiscono a creare un’atmosfera che alterna speranza e disperazione. La regia di Andreas Dresen è attenta ai dettagli e alla psicologia dei personaggi, rendendo la storia più complessa e ricca di sfumature emotive.

Il  caso di Berlino, Estate ‘42 è emblematico perché mostra che cosa significa resistere in un’epoca in cui l’oppressione è la norma. La stessa questione si pone oggi: il negazionismo e la giustificazione delle dittature sono incompatibili con il ruolo educativo. Ecco perché Berlino, Estate ‘42 è un film necessario. Non solo perché racconta una pagina dimenticata della storia, ma anche perché ci obbliga a riflettere sul valore della libertà e sulla responsabilità della memoria e dell’agire contro le ingiustizie. Con una regia misurata, interpretazioni straordinarie e una sceneggiatura che evita ogni retorica, Dresen ci consegna un’opera che parla del passato per ammonire il presente. Un monito che non possiamo permetterci di ignorare.

In un’epoca in cui i regimi autoritari e le ideologie estremiste sembrano tornare in auge, Berlino, Estate ’42 è un monito e un invito all’azione. Come ha scritto il poeta polacco Tadeusz Różewicz, sopravvissuto all’Olocausto: «Ricorda che il silenzio dice molto, che l’odio urla, ruggisce, abbaia e ulula. L’amore sorride, è silenzioso, ti aspetta». Questo film è un inno a quel silenzio che parla più forte delle parole, e a quell’amore che può spingere le persone a lottare per un mondo migliore.

 

Scheda del film

Berlino, estate '42

Titolo originale: In Liebe, Eure Hilde

Lingua originale: tedesco

Paese di produzione: Germania

Anno: 2024

Genere: biografico, storico, drammatico, spionaggio

Regia:  Andreas Dresen

Sceneggiatura: Laila Stieler

Produzione: Claudia Steffen, Christoph Friedel, Regina Ziegler

Casa di produzione: Pandora Film Produktion GmbH, Leuchtstoff, arte

Distribuzione in italiano: Teodora Film

Fotografia: Judith Kaufmann

Montaggio: Jörg Hauschild

Musiche: Jens Quandt

Interpreti e personaggi

Liv Lisa Fries: Hilde Coppi

Johannes Hegemann: Hans Coppi

Lisa Wagner: Anneliese Kühn

Alexander Scheer: Harald Poelchau

Emma Bading: Ina Ender|Ina Ender-Lautenschläger

Sina Martens: Libertas Schulze-Boysen

Lisa Hrdina: Grete Jäger

Lena Urzendowsky: Liane Berkowitz

Hans-Christian Hegewald: Albert Hößler

Nico Ehrenteit: Harro Schulze-Boysen

Jacob Keller: Heinrich Scheel

Heike Hanold-Lynch: Frieda Coppi

Tilla Kratochwil: Hildes Mutter

Claudiu Mark Draghici: Kommissar Henze

  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
  • villa mafalda 300x600
Rimani sempre aggiornato sulle notizie di tuo interesse iscrivendoti alla nostra Newsletter
Notizie dello stesso argomento
In viaggio con mio figlio. Una commedia drammatica tra autismo e riconoscimento dell’Altro
11/05/2025
di Teodosio Orlando
In viaggio con mio figlio. Una commedia drammatica tra autismo e riconoscimento dell’Altro
Berlino, Estate ’42. La Resistenza tedesca al regime nazista diventa un film
11/05/2025
di Teodosio Orlando
Berlino, Estate ’42. La Resistenza tedesca al regime nazista diventa un film
Addio a Fassari, attore e poeta malinconico della romanità vera
05/04/2025
di Barbara Leone
Addio a Fassari, attore poeta malinconico della romanità vera
“Il Nibbio”. La missione di Nicola Calipari nell’inferno di Baghdad
12/03/2025
di Teodosio Orlando
“Il Nibbio”. La missione di Nicola Calipari nell’inferno di Baghdad