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Nel firmamento narrativo degli Stati Uniti, dove gli archetipi si mescolano alla propaganda e le icone alle illusioni, c’è una figura che da quasi un secolo vola sopra le città, gli ideali e le contraddizioni dell’America: Superman.
Superman, il ritorno dell’eroe (quasi) perfetto: tra mito originario e identità politica
Prima ancora di diventare il difensore del sogno americano, l’idolo delle mamme e il volto di infiniti pigiami per bambini, l’Uomo d’Acciaio fu tutt’altro: un sovversivo in calzamaglia, un vendicatore dei poveri, un "superanarchico", come lo definisce lo storico del fumetto Mark Waid nella sua introduzione ai classici di Action Comics.
“Era un Superman che spaccava teste e non faceva prigionieri, che creava la propria legge e la faceva rispettare a pugni”, scrive. “Non era un superpoliziotto. Era un superanarchico”. Un’osservazione che risuona con particolare forza proprio in questi giorni, a ridosso dell’uscita del nuovo film Superman, dove l’eroe di Krypton torna con il volto giovane e idealista di David Corenswet e la regia audace di James Gunn, già autore dei Guardiani della Galassia, che ha voluto dar nuova linfa vitale ad una leggenda e farla parlare al presente, senza tradirne l’identità.
Già: ma quale identità? È su questo punto che il dibattito tra i fan si accende: Superman dev’essere ancora l’eroe cristallino che conosciamo, o può tornare a essere il ribelle delle origini?
E soprattutto: che cosa è diventato Superman, e che cosa abbiamo dimenticato di lui? Alla base di queste discussioni c’è però un’area di consenso inattaccabile: ci sono dettagli di Superman che non possono essere toccati. Deve essere più veloce di un proiettile e più potente di una locomotiva, deve venire da Krypton, vivere in una città chiamata Metropolis, e amare Lois Lane. Deve essere nobile, sano, morale.
E — per quanto possa suonare paradossale — anche un po’ noiosetto, in confronto a eroi come Batman o Wolverine, notoriamente affascinanti perché infrangono le regole. Superman no: deve restare il bravo ragazzo per eccellenza, rispettoso della legge e integerrimo, anche se non è sempre stato così.
Per risalire alla fonte bisogna tornare al 1938, anno della prima pubblicazione su Action Comics.
Allora l’America era ancora avvolta dalle ombre lunghe della Grande Depressione. Jerry Siegel e Joe Shuster, due giovani ebrei di Cleveland cresciuti tra ristrettezze economiche e sogni di rivalsa, plasmarono un personaggio con i muscoli di Sansone e la coscienza di un redentore laico. “Eravamo bambini e se volevamo vedere un film dovevamo vendere bottiglie di latte”, ricorda Siegel in Superman: The Complete History.
“Avevamo la sensazione di essere proprio lì, in fondo alla scala sociale, e di poter entrare in empatia con le persone... Superman è nato dai nostri sentimenti verso la vita”. E infatti, nel primo numero, Superman non combatte alieni o supercriminali. Combatte i padroni delle miniere che lesinano sulla sicurezza, i politici corrotti che comprano i giornali, i direttori di orfanotrofi crudeli, i mariti violenti. “È essenzialmente un socialista violento”, dice alla BBC Paul S. Hirsch, autore di Pulp Empire: A Secret History of Comic Book Imperialism. “Quando l’ho scoperto, mi ha fatto impazzire”.
Quel Superman era molto più Che Guevara che Capitan America. Entrava nelle case a calci, faceva penzolare i sospetti dalle finestre, e parlava con sarcasmo da noir metropolitano: “Vedi con quanta facilità ti schiaccio l’orologio nel palmo? Farò lo stesso trattamento al tuo collo!”. I suoi bersagli erano i borghesi avidi, i corrotti, i carnefici silenziosi della dignità. E in questo, Superman non era un difensore dell’ordine, ma un paladino del disordine giusto, un angelo vendicatore del proletariato.
“Adoro assolutamente quei vecchi numeri”, dice Matthew K. Manning, autore di Superman: The Ultimate Guide. “Sono chiaramente opera di giovani frustrati dalle ingiustizie del mondo... C’erano molti motivi per essere arrabbiati. E all’improvviso avevano questo personaggio che poteva dare voce alle loro preoccupazioni”.
E poi? Cosa ha spento quella furia giusta, quell’anima ribelle che sfidava i potenti? La risposta, come sempre, è economica e politica. Superman fu subito un successo editoriale, e i suoi editori capirono che poteva valicare la carta stampata. Ma per vendere pupazzi, cereali e coperte, serviva un Superman più rassicurante, meno eversivo.
“Superman è incredibilmente popolare fin dal primo numero”, spiega Hirsch. “Jack Liebowitz, presidente della DC, capisce che se Superman corre in giro a minacciare i ricchi, non possono vendere federe e pigiami”.
Poi arrivò la guerra. Gli autori ebrei e immigrati volevano essere patrioti, anche per necessità: in tempi di razionamento, un fumetto troppo radicale rischiava di essere censurato. Superman cominciò così a combattere alieni e mostri, lasciandosi alle spalle i mali della società reale. E mentre l’eroe diventava leggenda, i suoi creatori venivano spinti ai margini. Siegel e Shuster vendettero i diritti per appena 130 dollari e persero ogni controllo sul loro personaggio.
Quando cercarono di riappropriarsene, nel 1947, furono sconfitti. Shuster, ormai quasi cieco, dovette lasciare il disegno; Siegel finì arruolato nell’esercito. Ironia della sorte: i due Davide che avevano creato un Golia contro i potenti, finirono stritolati da un sistema ancora più potente del male che volevano combattere.
Oggi Superman continua a mutare, specchio fedele del Paese che lo ha generato.
Negli anni del maccartismo fu moralista, nei ’70 emblema d’integrità, nei ’90 figura messianica.
Ora con James Gunn al timone si apre forse, un nuovo capitolo. Il regista ha chiarito fin da subito il suo intento: “Voglio dire, quella di Superman è fondamentalmente la storia dell'America. Un immigrato che arriva da un altro Paese e si stabilisce qui”, ha dichiarato Gunn. “Ma per me si tratta soprattutto di una storia che ci dice che l'umanità è un valore fondamentale e che si tratta di qualcosa che abbiamo perso”. Una visione che sfuma nell’impegno civile. Gunn ha infatti anticipato la presenza di una lunga sequenza — circa dieci minuti — in cui Clark e Lois discutono apertamente di geopolitica. “Sì, si parla di politica, ma anche di senso della morale. Non si uccide mai, qualunque cosa accada, o bisogna trovare il giusto equilibrio, come sostiene Lois?”, ha spiegato. Una riflessione etica che va ben oltre le scazzottate tra grattacieli.
La domanda, alla fine, resta la stessa: Superman può ancora essere sovversivo? O deve restare un’icona addomesticata del Bene maiuscola? Forse la sua vera forza, oggi, non è più nei pugni, ma nel ricordarci da dove viene. Che dietro la S sul petto e il mantello svolazzante, non c’è solo un alieno venuto a salvarci, ma un’idea: che anche i più umili possono sfidare i più forti. Che anche i dimenticati possono diventare leggende. E che sì, anche un bravo ragazzo può essere rivoluzionario.