Economia

Controdazi europei agli USA: e se la soluzione fosse un’altra?

di Angelo Lucarella
 
Controdazi europei agli USA: e se la soluzione fosse un’altra?

Diversi studi dimostrano che l’Unione Europa dovrebbe rispondere ai dazi statunitensi voluti da Donald Trump (al 20% per tutte le merci importate da stati dell’Unione Europea in Usa) con controdazi. È il caso dell’Unione Europea che tramite la Commissione cerca tutte le vie possibili per mettere sul piatto contromosse volte ad evitare che le aziende UE vadano incontro al disallineamento commerciale import-export.

L’Italia poi, quarta al mondo per export, vende agli USA per circa 25.148,8 milioni di dollari nei primi quattro mesi del 2024 saliti poi a 26.104,7 milioni di dollari nei primi quattro mesi del 2025. La bilancia commerciale tra USA e Italia per l’OEC (Observatory of Economic Complexity) è in netto favore per l’Italia con un volume di affari pari a circa 63 miliardi di esportazioni contro 24,5 miliardi di importazioni dallo stato statunitense. 

Ora la domanda centrale di quest’analisi è se i controdazi sono la misura più opportuna e se la Commissione Europea ha la competenza per farlo. 

Partiamo dal secondo punto della domanda: la risposta è nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. L’articolo 3 prevede che siano di competenza esclusiva di Bruxelles l’unione doganale e la politica commerciale comune, altresì, affermando che l'Unione stessa ha anche competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali necessari per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni.

Letta così significa che l’Unione europea non ha competenza per dirimere la questione dei dazi americani in quanto il suo operare è volto solo all’interno del contesto comunitario e non extra comunitario. C’è un però: può concludere accordi internazionali (anche di natura daziale) per esercitare all’interno dell’Unione la politica commerciale.  Pertanto la trattativa Von der Leyen - Trump sarebbe incardinata giuridicamente in quest’ultimo senso. 

È tutto ciò sufficiente a legittimare la mossa dei controdazi europei sul piano dell’effettività (cioè farli rispettare concretamente nella vita commerciale civile e nella relazione istituzionale UE - USA)? No. Non è sufficiente dal memento che la politica estera degli Stati membri dell’unione europea è nazionale (infatti l'Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza si occupa di coordinare e attuare la politica estera e di sicurezza comune dell'UE, oltre alla politica di sicurezza e di difesa comune).

E tale affermazione è deducibile da quanto sancisce il Regolamento UE n. 952/2013 - Codice doganale della UE - nella premessa: “visto il trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare gli articoli 33, 114 e 207”. Ebbene proprio l’art. 114 del regolamento in questione prescrive che “non si applica alle disposizioni fiscali”.

A questo punto va chiarita una cosa: i dazi doganali sono cosa diversa dai dazi fiscali. Come ricorda l’art. 1 del regolamento doganale su citato, l’operazione degli Usa e dei controdazi europei verterebbe solo su ragioni commerciali e non fiscali.

Il punto, quindi, è uno: l’unione doganale di cui parla il Trattato su funzionamento dell’Unione Europea è un tipo di competenza che si espleta verso l’interno del sistema europeo; la politica commerciale comune, invece, rientra tra la possibilità di accordi internazionali USA – UE. 

Punto di riflessione ulteriore: i controdazi sono legittimamente operazioni di politica commerciale comune o c’è il rischio che una volta stabiliti, accordati e deliberati questi possano essere non applicati e disconosciuti tanto dagli stati membri che, addirittura, dagli USA (anche in caso di accordo in un primo momento)? 

Ciò non è da escludere dal momento che l’art. 2 del Codice doganale dell’Unione europea prevede che la delega alla Commissione europea sia solo di adottare atti che specifichino le disposizioni della normativa doganale e le relative semplificazioni per quanto riguarda “la dichiarazione in dogana, la prova della posizione doganale, l'utilizzo del regime di transito interno unionale, fintantoché non incide sulla corretta applicazione delle misure fiscali interessate, che si applicano agli scambi di merci unionali di cui all'articolo 1, paragrafo 3. Tali atti possono riguardare situazioni particolari inerenti agli scambi di merci unionali che interessano solo uno Stato membro”.

Come può notarsi nulla di nulla prevede la delega ulteriormente.

C’è, quindi, un problema di effettività della regolamentazione europea in materia doganale che potrebbe aprire una ferita profonda nel sistema di trattative con gli USA (paradossalmente uno stato membro potrebbe trattare in maniera diretta con Trump dazi fiscali ritorsivi e non commerciali). 

Da qui nasce l’idea di una proposta che sa di alternativa diversa ai controdazi: dotare la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea di competenza all’acquisto di debito pubblico estero. Cosa, quest’ultima, che ad oggi non è possibile in virtù dell’art. 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

Ad oggi, infatti, è vietato “l'acquisto diretto di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali”, salvo che non si tratti di enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali stesse e dalla Banca centrale europea il medesimo trattamento degli enti creditizi privati. 

Morale della storia: la deroga appena riportata vale all’interno dell’UE e non all’esterno. 

Sarebbe un’idea, pertanto, quella di modificare l’art. 123 del Trattato affinché l’Unione Europea agisca come soggetto giuridicamente bancabile all’esterno degli Stati membri nel senso che possa diventare attore comunitario di investimenti sul debito di altri Stati. Così facendo non subirebbe tutti i contraccolpi (o comunque limitandoli al massimo) come quelli dei dazi statunitensi voluti da Trump. Anche perché i dazi voluti da Washington hanno un duplice obiettivo politico: aumentare la produzione interna negli USA (che non significa per forza di cose capacità di allocazione e vendita dello stesso Pil in futuro ed all’estero) ed eliminare parte del debito pubblico arrivato a 36.000 miliardi circa.

Ma gran parte degli studi sulla questione affermano che i dazi trumpiani riusciranno a risolvere solo una piccola parte (e quasi irrilevante) della problematica rappresentata. 

Il vero problema è la sostenibilità del debito pubblico con la crescita che in un Paese a piena occupazione, come quello statunitense, potrebbe essere garantito con una mossa sugli immigrati, ad esempio, dando loro capacità reddituale e contributiva (ma è risaputo che la linea della presidenza Trump non è di questo avviso). 

Per l’Unione Europea potrebbe essere una strada anche quella di non delibare alcun controdazio commerciale: il ché non sarebbe sbagliato in termini di principio, ma esporrebbe l’UE ad una asimmetria economica (che comunque sarebbe gestibile con altre strategie) sulla stabilità dei prezzi e in secondo luogo sulle produzioni interne. 

Mentre il primo problema si potrebbe, in parte, risolvere tramite la famosa “teoria dei giochi” (se vuoi combattere un dazio emetti più moneta per garantire più scambi e capacità monetaria generando, di riflesso, inflazione), il secondo problema si potrebbe risolvere, in parte, cercando altri mercati e favorendo quest’ultimi affinché crescano sotto la spinta di investimenti di sviluppo europei. La Cina, ad esempio, lo sta facendo da anni finanziando infrastrutture in ogni parte del mondo ed acquistando debito pubblico degli Stati interessati da Pechino. Considerando che 8000 miliardi di dollari di titoli di stato statunitensi sono in mano straniera sarebbe l’ora che anche l’Unione Europea facesse il salto di qualità: diventare attore di investimento sul debito pubblico altrui fuori dall’UE (così avendo un’arma in più per negoziare sui dazi e comunque essere più influenti in situazioni come quelle in esame).

Nel frattempo il mondo cerca un nuovo equilibrio e tale incertezza non fa bene al mondo produttivo. 

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