Attualità

Ponte Morandi, sette anni fa il crollo: 43 morti per una tragedia anche morale

di Demetrio Rodinò
 
Ponte Morandi, sette anni fa il crollo: 43 morti per una tragedia anche morale
Ormai, quando tutti i singoli frammenti delle nostre vite rischiano di essere immortalate da uno smartphone o da una videocamera di sicurezza, la reiterazione delle immagini può avere sulle coscienze un effetto quasi narcotizzante. Perché il mezzo televisivo o la riproposizione di un evento crea inevitabilmente assuefazione, e il ''colpo'' emozionalmente iniziale si stempera nel tempo. Ma questo non accade per le voci, come quella che accompagna le drammatiche ormai da sette anni, ogni qual volta si ripropongono gli ultimi istanti del ponte Morandi, crollato a Genova il 14 agosto del 2018, provocando dolore, sconcerto e rabbia.

La voce di chi grida e insieme prega, in quella forma laica di religione che è il pensiero per chi sta morendo. E di morti, sul greto del torrente Polcevera, ne restarono 43. 

Oggi, nel settimo anniversario di quella tragedia, Genova ricorda, commemora, fa i conti con un recente passato che non avrebbe dovuto manifestarsi se chi di quel ponte, della sua sicurezza, delle elementari norme di manutenzione per un manufatto di quelle dimensioni e di quella vetustà avesse fatto il suo dovere, oppure, se la formula più aggrada, avesse obbedito a quel che la coscienza imponeva.

Mundys, che nel maggio 2022 ha ceduto il controllo di Autostrade per l'Italia (sua controllata per la gestione delle concessioni italiane) a una cordata guidata da Cassa Depositi e Prestiti, in questo giorno in cui si mischiano dolore, ricordi e speranze, è il convitato di pietra, è l'immagine di chi, a tragedia consumata, si è sfilato, è uscito dal palcoscenico, riprendendo poi il suo cammino, come se nulla fosse accaduto, pensando che mezzo miliardo, destinato ai risarcimenti, mondasse da ogni ricaduto morale, rimettendo a posto vite che sono state invece devastate da quel crollo.

Un evento drammatico che non può essere solo ricondotto ad un incidente, peraltro prevedibile (i segnali c'erano, ma è di tutta evidenza che non sono stati colti o, se ha ragione la procura della Repubblica di Genova, colpevolmente sottovalutati), e allo strascico di dolore che si porta ancora oggi dietro, ma che ha avuto riflessi sulla vita di una città che non meritava di essere, ingiustamente, etichettata come il simbolo di un Paese dove anche le costruzioni apparentemente più solide rischiano di andare in rovina.

Oggi, mentre il governo ha messo nero su bianco un pacchetto di interventi concreti a favore delle famiglie di chi non c'è più, investendo anche nel futuro di chi ha perso un affetto sotto le tonnellate di detriti del Morandi, è la giornata del ricordo, e ad essa ne seguiranno anche altre, nel tempo.

Perché è solo grazie al ricordo che si può coltivare il seme della rinascita, che deve essere dapprima morale più che materiale. Perché se un altro ponte è stato fatto, grazie al contributo di tanti, alleviando i disagi di una intera comunità, umana e produttiva, resta sempre lo sconcerto per quanto è accaduto. 

Forse tra un anno potrebbe essere messa la parola fine al primo atto giudiziario dell'inchiesta sul crollo del Morandi e sulle responsabilità che ad esso devono essere ricondotte, ma qualche condanna, anche pesante, non cancellerà mai l'idea che dentro quell'aula di giustizia compaiano gli ultimi di una lunga catena di comando, il cui primo anello è quello della Mundys S.p.A., precedentemente Atlantia S.p.A., già Autostrade S.p.A..

Che, dopo la tragedia, ha ripreso a fare quel che più gli è confacente: reddito, ricavi, incassi. Certo, la società che riconduce alla famiglia Benetton si è scusata, ha messo mano al portafoglio (gonfio anche perché il denaro per la manutenzione dell'opera evidentemente non è stato speso, ma lasciato in cassaforte a macinare profitto), ma mentre continua a lavorare, cercano di ricominciare le famiglie delle vittime, i feriti, chi ha avuto la vita economicamente spazzata, chi ha perso la casa e ha dovuto cancellare, con essa, i ricordi di una esistenza.

Ma è un processo, oltre che ingiusto da dovere affrontare, faticoso, perché, se il denaro può aiutare ad andare avanti o ricominciare, non lenisce il dolore, quello vero, di chi ha perso un affetto e non una manciata di milioni. 
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