Un’analisi del nuovo rapporto della Banca d’Italia: il digitale corre, il cash arranca e costa troppo. Tra economia di scala e innovazione, ecco quanto spendiamo – e risparmiamo – per pagare in Italia. In Italia pagare costa. Non solo per chi lo fa, ma per l’intero sistema economico.
Pagamenti in Italia: il costo sociale scende a 12 miliardi, ma il contante resta il fardello del sistema
Nel 2022 il cosiddetto “costo sociale” degli strumenti di pagamento – ovvero la somma dei costi sostenuti dalla collettività per produrre e accettare pagamenti – ha raggiunto quota 12 miliardi di euro, pari allo 0,61% del PIL. Una cifra ancora elevata, ma in calo rispetto al passato: nel 2016 si attestava allo 0,73%, nel 2009 addirittura allo 0,75%. È quanto emerge dall’attesa terza indagine pubblicata oggi dalla Banca d’Italia per conto del Comitato Pagamenti Italia.
L’indagine, condotta nella seconda metà del 2023 e relativa all’anno precedente, fotografa un settore in piena trasformazione. L’innovazione digitale, la concorrenza tra operatori e le nuove regolamentazioni stanno spingendo la società italiana – lentamente ma inesorabilmente – verso un sistema di pagamento sempre più cashless.
Tra i principali driver del cambiamento ci sono le carte di pagamento, protagoniste indiscusse di questa rivoluzione silenziosa. Il numero delle transazioni, rispetto al 2016, è più che raddoppiato (+106%), mentre il costo medio per operazione si è quasi dimezzato, passando da 1,01 euro a 0,62 euro (era 1,39 nel 2009). Il merito è tutto delle economie di scala e della diffusione di servizi digitali come home banking e app mobile, ormai utilizzati in oltre il 93% dei casi.
Non a caso, il bonifico effettuato online è uno degli strumenti più efficienti: costa agli intermediari 0,45 euro, contro i 2,11 euro per lo stesso bonifico fatto allo sportello. E se si guarda oltre i confini SEPA, il bonifico extra-Europa costa nove volte di più, segnalando ancora ampi margini di miglioramento nella standardizzazione dei circuiti globali.
All’altro capo dello spettro ci sono i vecchi strumenti cartacei. I prelievi e versamenti di contante costano 2,44 euro ciascuno. Gli assegni, ormai residuali, toccano quota 5,28 euro per operazione, a causa delle diseconomie di scala che colpiscono strumenti in via di estinzione. Non è un caso che la loro incidenza sul costo sociale complessivo sia scesa al 31%, dal 41% del 2016.
Ma il problema resta. Nonostante l’uso in calo, il contante continua a drenare risorse, generando costi non più giustificati in un’economia che sempre più spesso si affida a POS, wallet digitali, QR code e bonifici istantanei.
Secondo Bankitalia, la sostenibilità del sistema dei pagamenti è oggi garantita quasi esclusivamente dagli strumenti elettronici. Il segmento della monetica – in particolare le carte – offre margini sufficienti a coprire i costi dell’infrastruttura. Il contante e gli assegni, invece, risultano strutturalmente in perdita.
Tuttavia, anche per gli esercenti il cambiamento è conveniente. L’indagine rivela una significativa riduzione dei costi privati di accettazione, specialmente per carte e addebiti diretti, rispetto al contante. In pratica, oggi accettare pagamenti digitali costa meno, è più sicuro e più rapido.
Il dato complessivo – 12 miliardi di costo sociale – è ancora alto, ma in diminuzione. La sfida è consolidare questo trend, accelerando la transizione digitale anche nei settori più restii al cambiamento, come piccoli esercizi commerciali e pubblica amministrazione.
In questo contesto, il ruolo delle politiche pubbliche sarà determinante: spingere l’adozione dei pagamenti digitali non solo per ragioni economiche, ma anche per contrastare l’evasione fiscale, semplificare la vita ai cittadini e rafforzare l’efficienza complessiva del sistema.