Politica

Il governo, in sella da più di mille giorni, festeggia, con qualche "però" di troppo

Redazione
 
Il governo, in sella da più di mille giorni, festeggia, con qualche 'però' di troppo

1024: assommano a questo numero, a quattro cifre, i giorni del governo Meloni e lei, il presidente del Consiglio, giustamente è orgogliosa di un traguardo che le consente di guardare con ottimismo al resto della legislatura, che però reca in sé ancora parecchi potenziali problemi per l'esecutivo, soprattutto guardando alla situazione economica del Paese, che ondeggia come le canne al vento.

Il governo, in sella da più di mille giorni, festeggia, con qualche "però" di troppo

Ma i numeri, che si possono anche commentare, sono comunque inequivocabili, anche se, leggendoli ''da destra a sinistra e viceversa'', possono nascondere qualche appunto che va, con tutta evidenza, in direzione contraria alla narrazione da miele e rose che il governo fa del proprio operato, ma soprattutto dei successi che vanta e che i trombettieri della maggioranza scodellano in ogni occasione.

Questi giorni, guardando a cosa accade nel Paese, che sembra non essere certo in modalità ''siamo tutti più ricchi e e felici'', ci si accorge che c'è un malumore strisciante che non può essere comunque addebitato esclusivamente a quel che fa l'esecutivo, che ha raccolto una eredità pesante, caratterizzata da scelte che sono scelerate agli occhi di tutti, meno di chi ha varato provvedimenti volti a raccattare consenso a strascico e non invece a costruire un futuro migliore per la comunità nazionale.

Quest'Italia oggi va così e c'è poco da fare, viste anche le nubi spesse, nere e gravide di incertezza che aleggiano su di noi, con Donald Trump a soffiare, come Eolo e i suoi venti. Eppure a destra (forse un po' meno meno al centro, quello azzurro, stretto tra le ganasce della morsa degli alleati) si celebra e ci si vanta e tutto questo ha un senso.

Forse però, ad analizzare i mille e venti e più giorni del governo Meloni, qualche domanda ce la si dovrebbe porre su quali siano state le condizioni che hanno determinato questo ''successo''.
Condizioni che riportano al recente passato quando le lacerazioni di quello che dovrebbe essere lo schieramento progressista hanno spianato la strada al qualunquismo dei Cinquestelle che, ancora oggi, mostrano con chiarezza la una netta linea politica: la loro.

Solo la loro, sempre la loro, avendo come gran sacerdote Giuseppe Conte saldamente al comando, dopo avere cancellato Beppe Grillo dalla geografia del movimento, relegandolo al ruolo di ''bisbetico domato'', a mostrare barlumi della passata lucidità, quella che gli ha consentito di balzare in sella al cavallo imbizzarrito della rabbia popolare, proponendosi come epitome dell'opportunismo.

Dai Cinquestelle in avanti - i governi Conte 1 e 2 -, la politica ha fatto di tutto per spianare la strada alla vittoria della destra, che è stata giustamente schiacciante non tanto per capacità o programmi, quando perché dal taxi vuoto dell'opposizione, come da folgorante definizione attribuita a Winston Churchill, è sceso Attlee. Ovvero, nessuno, vista la strategia che anche oggi la sinistra continua ad adottare, quello stallo messicano in cui, piuttosto che combattere l'avversario, ci si minaccia reciprocamente.

Il ''campo largo'' di largo non ha nulla, se non la variegata offerta politica che rivolge al Paese e dentro la quale ciascuno si sente indispensabile, non più necessario, come dovrebbe essere in una coalizione.
Lo stesso spettacolo del mercato delle vacche che sta andando in scena per trovare candidati per le elezioni regionali (non che a destra si stia comunque meglio) dà l'esatta misura di una opposizione lacerata, dove sembra attuale il titolo di un film di Alessandro Blasetti degli anni '60: ''Io, io, io e gli altri''.

E Giorgia Meloni sorride, guardando la frantumazione ideologica di una opposizione che ha smarrito il filo di una proposta alternativa, di una piattaforma che inverta il trend di un Paese che, nei suoi vertici, flirta in modo imbarazzante con le politiche di altri leader internazionali, che, assurti ad esempio, stanno cancellando i principi della separazione dei poteri, dando la caccia agli avversari, ovunque essi alberghino: politica, magistratura, forze dell'ordine, immigrati, minoranze.

Ma, come si dice, bisogna pensare positivo e chissà che, magari shakerando la composizione del governo, Giorgia Meloni dia nuova spinta ad un esecutivo che, nonostante la strabordante evidenza della maggioranza parlamentare, troppo spesso sembra volere evitare il confronto, ricorrendo al voto di fiducia. Quello che Meloni contestava ai precedenti governi.

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