Il dramma di un popolo è davanti agli occhi del mondo, ma, mai come in queste settimane, lo strabismo e l'opportunismo della politica stanno prendendo il sopravvento sulla ragione. Quanto sta accadendo a Gaza City non è, purtroppo, l'epilogo, ma si dimostrerà solo un capitolo, una fase di passaggio per una vicenda che troppo superficialmente viene considerata come parte di un problema più ampio, quello del Medio Oriente che, di vicende ne ha tante e che solo geograficamente vengono superficialmente accomunate, presentando caratteristiche ben diverse, dagli interessi di geopolitica a quelli, tradizionali, dell'economia, che passa dal petrolio alla sicurezza delle rotte.
Medio Oriente: il crepuscolo della ragione
Ma quanto è in atto a Gaza City è cosa diversa, perché è la prima volta da che la Storia non si racconta, ma la si vive quasi in prima persona, che un intero popolo paga colpe che non sono solo sue.
Questa affermazione può forse sorprendere, ma i gazawi si sono ridotti ad essere un popolo ostaggio anche per non avere trovato, in loro stessi, la forza per ribellarsi alle milizie armate di Hamas, ma prima ancora alla vergognosa corruzione dei loro vertici politici, in una corsa all'accaparramento, alla precostituzione di rendite di posizione che restano tali ormai da decenni.
Eppure oggi il mondo sembra diviso davanti al dramma, non prendendo la strada della generale condanna - che dovrebbe essere evidente visto quel che accade - , ma facendo prevalere interessi di parte, di quelle conventicole che, nell'osservazione del loro ombelico, passano gran parte del loro tempo.
Così noi - parliamo dell'Italia - abbiamo una posizione ambigua che pencola tra la presa d'atto e quindi della condanna di un'azione che sembra volere cancellare i palestinesi (non parliamo di genocidio, che, per quel poco che conosciamo della Storia, è cosa diversa, non solo dal punto di vista filologico. Basta guardare a curdi ed armeni) e la necessità di non urtare alleati internazionali, che si aspettano da noi una posizione di ambigua equidistanza tra le ragioni della politica e quelle dell'umanità.
Così accade che sulla riprovazione per migliaia di morti innocenti ci ritroviamo tutti, ma qualcuno si ferma un passo prima di prendere quello che tutti si aspettano: una decisione. Noi, invece, non ne prendiamo, né in un senso (condannare Israele per le sue condotte e decidere come reagire con i fatti e non più con semplici condanne verbali, scappellotti anziché colpi di bacchetta sulle dita) , né nell'altro (schierarsi accanto a Israele, convintamente, senza fare riferimento all'attacco del 7 ottobre del 2023, esecrabile, ma che oggi appare quasi in gradito pretesto per le politiche di annientamento portate avanti dal governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu).
Eppure, per una condanna reale delle condotte di Israele, basterebbe dare un'occhiata alle immagini dell'esodo dei gazawi oppure, limitarsi alle dichiarazioni di alcuni ministri di Netanyahu che celebrano la polverizzazione delle case della Striscia come il primo passo verso la realizzazione di un grande progetto immobiliare, da spartire con gli Stati Uniti, che l'Amministrazione Trump ha ormai trasformato in un broker a livello globale.
Ma, al ministro Bezalel Smotrich, che ha parlato di Gaza City come del prossimo eldorado, vorremmo chiedere se ha un'idea di quanti ricchi comprerebbero una casa sapendo che la terra su cui è stata edificata è ancora impregnata del sangue di migliaia di innocenti.