Economia

L’Ocse taglia le stime di crescita per l’Italia, ma promuove il risanamento dei conti: Pil +0,6% nel 2025

Redazione
 
L’Ocse taglia le stime di crescita per l’Italia, ma promuove il risanamento dei conti: Pil +0,6% nel 2025
L’ultima fotografia economica dell’Italia scattata dall’Ocse è a luci miste. Se da un lato arrivano nuove revisioni al ribasso per le stime di crescita del PIL, dall’altro emergono segnali incoraggianti sul fronte della sostenibilità dei conti pubblici. Secondo quanto riportato nel nuovo Economic Outlook pubblicato a Parigi, il Prodotto interno lordo italiano crescerà solo dello 0,6% nel 2025 (in calo rispetto allo 0,7% previsto lo scorso marzo) e dello 0,7% nel 2026 (da un precedente +0,9%). Tuttavia, il debito pubblico inizierà a calare già da quest’anno, scendendo al 135% del PIL nel 2025 e al 134,5% nel 2026, mentre il deficit continua a rientrare più rapidamente del previsto.

L’Ocse taglia le stime di crescita per l’Italia, ma promuove il risanamento dei conti: Pil +0,6% nel 2025

A sorprendere positivamente è la traiettoria del disavanzo statale. Dopo il picco del 7,2% del PIL nel 2023, il deficit è sceso al 3,4% nel 2024, 0,4 punti in meno rispetto alle previsioni dello stesso governo, e continuerà a ridursi al 3,1% nel 2025 e al 2,8% nel 2026. Un risultato che riporta l’Italia nei ranghi del Patto di stabilità e crescita europeo, fissato al 3%, e che secondo l’Ocse testimonia i “progressi migliori del previsto” nel percorso di risanamento.

Anche il tasso di disoccupazione è destinato a migliorare ulteriormente: dopo essere sceso al 6,5% nel 2024, è atteso al 6,1% sia nel 2025 che nel 2026, complice un mercato del lavoro che si mantiene solido e una spinta attesa dagli investimenti legati al PNRR.

Le nubi, però, non mancano. In primis, sul versante delle esportazioni. L’Ocse prevede una lieve contrazione dei volumi nel 2026, la prima dai tempi della crisi finanziaria globale (pandemia esclusa). Il motivo? Le nuove restrizioni commerciali, in particolare l’aumento dei dazi statunitensi e le possibili misure di ritorsione da parte di altri Paesi. Uno scenario che colpisce in particolare l’Italia, la cui economia è storicamente dipendente dall’export, soprattutto in settori chiave come meccanica, moda, agroalimentare e automotive.

Nel capitolo dedicato all’Italia, il report avverte che “nuove restrizioni commerciali o una domanda debole in Europa potrebbero acuire la contrazione dell’export”. Inoltre, l’incertezza globale potrebbe frenare i piani di investimento e assunzione delle imprese, spingendo anche le famiglie ad aumentare i risparmi precauzionali.

Nonostante le turbolenze globali, l’Ocse intravede una domanda interna resiliente, sorretta da salari reali in crescita, inflazione moderata e dalla tenuta dell’occupazione. I consumi delle famiglie dovrebbero quindi mantenere un ritmo stabile.

Sul fronte degli investimenti, l’accelerazione dell’erogazione dei fondi del NextGenerationEU darà linfa soprattutto agli investimenti pubblici, ma quelli privati rischiano di rimanere fiacchi, penalizzati dall’incertezza geopolitica e politica e dai margini ancora contenuti in molti settori produttivi.

La spesa per l’edilizia residenziale, dopo la fiammata indotta dagli incentivi del Superbonus, è attesa tornare su livelli medi di lungo periodo, mentre solo una parte dei progetti PNRR potrebbe essere concretamente realizzata tra 2025 e 2026.

Le difficoltà italiane si inseriscono in un contesto internazionale che appare in progressivo deterioramento. L’Ocse taglia le previsioni di crescita mondiale al 2,9% sia per il 2025 che per il 2026, rispetto al 3,1% e 3% indicati a marzo. I Paesi del G20 vedranno un’inflazione al 3,6% nel 2025 e al 3,2% nel 2026, in leggero calo rispetto alle stime precedenti, ma ancora sopra i target delle principali banche centrali.

Le economie più esposte al commercio internazionale, tra cui Stati Uniti, Canada e Messico, rallenteranno in modo più marcato, mentre la Cina subirà una frenata più contenuta. Il timore diffuso è che il ritorno al protezionismo e l’incertezza sulle politiche economiche possano compromettere la fragile ripresa, spingendo inflazione e rallentando il commercio.
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