Qual è lo ''stato di salute'' politico di Donald Trump, a sei mesi dal suo ritorno alla Casa Bianca?
Buono, ma certo non buonissimo, come invece il presidente cerca di accreditarlo, sulla scia degli oggettivi successi sul fronte commerciale, cui fanno riscontro però le difficoltà ad affermarsi, come lui ambisce da sempre, come demiurgo di pacificazione nel mondo.
Usa: Trump canta vittoria per l'accordo con l'Ue, ma molti problemi restano
Sembra ormai svanito il suo sogno di portare la pace in Ucraina nel giro di pochi giorni, come aveva promesso (pensando forse di domare l'amico Putin) e lo stesso sta accadendo in Medio Oriente, dove l'alleanza spesso acritica con Benjamin Netanyahu sta avendo risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Perché se non riesci a tenere a bada Bibi nelle sue politiche di annientamento del pericolo Hamas, fatte passare attraverso lo strangolamento dei gazawi, ormai alla stregua di fantasmi in cerca di cibo e che scappano dalle bombe, significa che ormai il tuo alleato è completamente fuori controllo, tacendo ricadere anche su Washington le colpe.
Ma Trump mena vanto di piccole vittorie diplomatiche, in crisi certo drammatiche, ma, per così dire, ''regionali'', spacciandole per la conferma del suo ruolo globale.
È, però, il fronte interno quello che oggi crea maggiori preoccupazioni per Trump che, come suo solito, sta vantandosi dell'accordo che ha imposto all'Ue, quasi fosse la soluzione di ogni male commerciale, ma forse sottovalutando che quel 15 per cento di dazi che graveranno sulle merci di produzione europea e che, more solito, saranno fatti pesare dagli importatori sui consumatori americani, innescheranno una crescita dei prezzi nel breve periodo, mentre per le ricadute miracolose del ricatto imposto a Bruxelles occorrerà del tempo per vederne le ricadute positive, soprattutto in termini occupazionali.
Ma lui va avanti per la sua strada che significa soprattutto guardare nel suo giardino di casa. Non altrimenti si potrebbe definire il viaggio in Scozia, dove l'incontro con la sin troppo remissiva von der Leyen è stato quasi un corollario a quello d'affari legato alla cure dei campi da golf e dei resort di sua proprietà.
In questo momento, comunque, sono forse altri i pensieri che offuscano le giornate giornate di Donald Trump, atterrato nudo su un cactus chiamato ''caso Epstein'', dal quale rischia di restare invischiato ben più di quello che sembra oggi.
Lo stesso fatto che il procuratore generale Pam Bondi abbia mandato il Florida il suo vice, e non un qualsiasi magistrato, a parlare a quattr'occhi con Ghislaine Maxwell, in carcere da tre anni e dovendoci restare per altri 17, ex fidanzata e complici di Epstein, è apparsa come una anomalia, quasi che l'incontro sia stato un primo passo verso una collaborazione della donna con la giustizia, nella speranza di ottenere una grazia, magari alla scadenza della fine del mandato presidenziale.
In cambio di cosa? Forse di una versione delle relazioni amicali di Epstein che non approfondisca troppo quella con Trump?
Intanto, al Congresso, sia tra i repubblicani ortodossi che tra i democratici, cresce la voglia di chiarezza, che passerebbe necessariamente per una deposizione di Ghislaine Maxwell davanti ad una commissione parlamentare. E lì, senza il paracadute di un procuratore' 'amico'', la complice del finanziere pedofilo, suicida in carcere, dovrebbe dire molto. E la corsa contro il tempo à di non farle dire troppo o addirittura tutto.