La Commissione Europea compie un passo decisivo nella strategia per l’autonomia industriale dell’Unione con la pubblicazione delle prime norme attuative del Net Zero Industry Act. Tra le novità più rilevanti emergono i criteri non di prezzo per l’aggiudicazione delle aste nel settore delle energie rinnovabili, strumenti pensati per ridurre la dipendenza dai fornitori extra-UE e rafforzare la competitività delle filiere industriali europee.
Net Zero Industry Act e aste rinnovabili, Tinazzi lancia l’allarme
I nuovi parametri – che comprendono sostenibilità ambientale, contenuto locale, sicurezza e resilienza delle supply chain – saranno obbligatori dal 2026. Tuttavia, per Davide Tinazzi, CEO del Gruppo Energy (in foto), attendere il prossimo anno per adottarli significherebbe compromettere il futuro del settore. L’Italia, sottolinea Tinazzi, si trova già oggi a un bivio cruciale: “Il MACSE, il meccanismo nazionale per il sostegno ai sistemi di accumulo, lancerà a settembre 2025 la sua prima asta da 1,5 miliardi. Se sarà interamente a ribasso, senza considerare i nuovi criteri, si aprirebbe la strada ai fornitori cinesi a basso costo e bassa qualità, penalizzando le aziende europee almeno fino al 2028”.
Il CEO del Gruppo Energy evidenzia che molti Paesi dell’UE già adottano criteri strategici nelle proprie gare, riconoscendo il valore critico delle tecnologie energetiche in termini di durata, cybersecurity e sostenibilità. “Non possiamo permetterci – aggiunge – di affidarci a filiere extraeuropee che potrebbero collassare con un semplice dazio o una crisi diplomatica, con il rischio concreto di forniture interrotte o rescissioni unilaterali”.
Un ulteriore aspetto, spesso trascurato, è l’etica degli investimenti pubblici: “I fondi delle aste provengono da risorse pubbliche. Ha senso premiare chi investe sul territorio, crea occupazione e rispetta rigorosi standard ambientali, fiscali e di sicurezza?”, si chiede Tinazzi. La risposta, secondo lui, è evidente: “La transizione verde non può essere lasciata alla sola logica del prezzo”.
Energy, attiva nella produzione e installazione di sistemi per l’accumulo energetico, ha già avviato un piano di reshoring produttivo dalla Cina verso l’Europa, anticipando le esigenze normative dell’UE. Un impegno strategico e oneroso, che rischia però di non essere premiato se le gare continueranno a privilegiare il solo criterio economico.
“Non si tratta di spendere il doppio – chiarisce Tinazzi – ma solo un po’ di più. In compenso, si evitano i costi occulti legati ai fornitori asiatici, come tempi lunghi di approvvigionamento, mancanza di supporto locale, standard qualitativi inferiori e rischi geopolitici. Negli Stati Uniti e in Australia lo hanno capito, e i risultati si vedono”.
Il vero snodo sarà l’asta MACSE di settembre, che rischia di diventare la più rilevante per volumi e impatto su tutta la filiera del settore. “Se si fallisce ora – avverte Tinazzi – i prossimi due anni potrebbero essere dominati da aziende straniere, con ricadute pesanti sulla sovranità energetica e industriale dell’Europa”.