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Referendum: la sterile e triste protesta del Pd contro la Rai

Redazione
 
Referendum: la sterile e triste protesta del Pd contro la Rai

Francesco Galgano, eccelso giurista, nel 2008 mandò alle stampe un libro, il cui contenuto, in estrema sintesi era che "la forza del numero è, in politica come in economia, la fonte riconosciuta del potere: quanto occorre, e al tempo stesso quanto basta, per conquistarlo. E' il principio di maggioranza, del maggior numero in politica, del maggior capitale in economia".

Referendum: la sterile e triste protesta del Pd contro la Rai

I numeri, che presiedono ogni nostra attività che non sia squisitamente artistica (nell'accezione più ampia del termine), raccontano con efficacia uomini e cose, imprese e fallimenti. Soprattutto fallimenti, perché, nella loro inequivocabile aridità, danno un quadro immediato, una immagine cristallizzata davanti alla quale ogni ambizione viene messa alla prova.

Così, quando lo stato maggiore (che tanto maggiore non è apparso) del Pd si è dato appuntamento davanti alla sede della Rai per protestare contro la scarsa attenzione che viene riservata ai referendum, si è materializzata plasticamente la strana evoluzione di un partito che della massa aveva fatto la sua forza e ora si barcamena non riuscendo nemmeno ad organizzare, numericamente parlando, una manifestazione degna di tale nome.

Se doveva essere un momento di rabbia e di recriminazione per le scelte del servizio pubblico si può dire che non è che si sia visto molto: poche persone, facce tristi, qualche vessillo e la voce distorta di un megafono e, soprattutto, il ricorso al meccanismo della reiterazione delle frasi e dei concetti. Quasi che, pronunciandoli in continuazione, divengano una realtà fattuale. Non è così per le idee, anche le migliori, che devono essere veicolate in modo che la gente le capisca, le apprezzi, le faccia proprie.

Ma già, di per sé, lo strumento referendario, democratico se ce n'è uno, nel nostro Paese non è che, in tempi recenti, abbia travolto di interesse la gente, soprattutto quando, come quelli del prossimo giugno, la loro comprensione e quindi l'appassionarsi ad essi è condizionato dalle tematiche e, quindi, dalla formulazione dei quesiti, che sembra essere uscita dalla bottega di un alchimista.

Se è già difficile fare capire i referendum, molto di più è convincere la gente ad appassionarsi ad essi. Una cosa che i promotori del sì, ma anche quelli del no, devono fare portando avanti idee che siano comprensibili, evitando le guerre di religione che non portano da nessuna parte.

Vedere quindi il Pd, con Elly Schlein in testa, manifestare davanti alla Rai è, a modo suo, la controprova che il Paese di referendum come questi, che toccano problemi delicati (come quelli del lavoro), ma che non catalizzano l'attenzione, non ne può più.

In altre occasioni, ricordiamo quelli sul divorzio o sul nucleare, l'occasione referendaria ha coinvolto quasi per intero il Paese, ma erano temi diversi e, in un certo senso, molto più importanti, toccando il primo la sfera personale, il secondo il futuro energetico.

Forse, piuttosto che manifestare davanti alla Rai, il Pd dovrebbe cercare una sua strada nel cammino per tentare di mandare a casa Meloni and company.
Imbarcarsi in una campagna referendaria che ha la capacità di attrazione di un lassativo per cavalli è, insieme, un azzardo e un possibile autogol, peraltro offrendosi come un agnello sacrificale a chi vede ad una possibile alleanza strumentale con il Partito democratico un mezzo per azzopparlo.

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