È un'infinita campagna elettorale quella vissuta da Matteo Salvini che, come il predatore che fiuta il vento per capire dove sia la preda, cerca di capitalizzare ogni argomento che possa portargli consenso.
A costo di dire una cosa che ne smentisce un'altra appena pronunciata.
Salvini senza freni: minaccia un prelievo forzoso alle banche, dice che guadagnano troppo
Oggi, nel mirino del Robin Hood padano (che toglie ai ricchi per dare ai poveri, dopo avere in passato fatto l'esatto contrario: i miliardi per la costruzione del Ponte sullo Stretto saranno sottratti dalle tasche degli italiani, in termini di taglio dei servizi) ci sono le banche.
Lo ha ribadito il vicepremier che, in occasione della cerimonia nella galleria del Brennero, non si è limitato a gettare lì un'idea, ma a ricamarci sopra rendendola, di fatto, un ukase di fatto inappellabile: il governo sta pensando a come le banche debbano - non ''possano'' contribuire al migliore futuro del Paese, chiedendo loro un contributo.
''Stiamo ragionando sulle forme normative e fiscali che potrà avere questo contributo'', ha annunciato Salvini, con una frase che, detta così, non è che lasci molto spazio ad un confronto con il mondo delle banche, perché, a rigore di logica, si ragione su ''forme normative e fiscali'' di qualcosa che si è già deciso di fare.
Con tanti cordiali saluti a quella parolina, ''confronto'', che un governo dovrebbe avere sempre poggiata sul tavolo delle decisioni.
Lui, nuovo annuncio, ha comunque detto: ''Io, incontrerò personalmente i vertici delle banche, che vorranno incontrarmi'', aprendoci ad un universo nuovo, per noi che pensavamo che è scontato che se si incontra qualcuno lo si fa personalmente. Ma noi non facciamo politica.
Quello che, comunque, deve fare riflettere tutti, dal comune cittadino alla stampa e, su su, fino ai vertici delle banche di casa nostra, è che Salvini puntella i suoi ragionamenti con dei numeri che, di per sé, dicono poco, dal momento che sembrano buttati lì, ad effetto.
Salvini ha detto di continuare ''a ritenere che, in un momento in cui in tanti sono chiamati a fare sacrifici, soggetti che l'anno scorso hanno guadagnato più di 46 miliardi di euro - tagliando costi, aumentando i ricavi e dando lo zero virgola a chi lascia i soldi in banca e chiedendo il 4, 5 o 6% a chi li chiede -, un contributo sono sicuro lo vorranno dare volentieri''. Alla fine dell'anno, ''se chiuderanno il 2025 con 42 o 43 miliardi di guadagni invece di 46, non penso che nessuno si straccerà le vesti e con quei soldi possiamo aiutare tante famiglie e imprese".
Ora, partendo dal presupposto che la spiegazione data da Salvini si deve dividere in due - le cifre e la filosofia - resta difficile comprendere la portata del suo ragionamento. Perché se dici che le banche attuano una politica di colpevole spregiudicatezza - danno nulla e prendono tanto dai clienti - dai già un giudizio che non sappiamo sino a che punto possa essere condiviso da quegli istituti che tanto si spendono per opere a favore delle comunità e del territorio, come insegna l'attività delle fondazioni che mettono tanta benzina nella macchina delle iniziative artistiche, tanto per dirne una.
Dire di volere tagliare, ad occhio, quasi il dieci per cento degli introiti non è il modo migliore per avviare una trattativa - perché è di questo che si parla - e che riecheggia in modo inquietante il modo di ragionare a colpi di minacce di Donald Trump, che sembra ormai essere per Salvini un faro che mai spegne la sua luce, anche in pieno giorno.
Le banche fanno in loro mestiere e, semmai lo si ritenesse necessario, in una più vasta politica di razionalizzazione dello sforzo comune, dovrebbero essere invitate a rendere più solidi i rapporti di fiducia con i clienti e non ad alimentare, indirettamente, la macchina produttiva (le imprese) e quella sociale (le famiglie) che ora sembrano stare tanto a cuore al segretario della Lega.
Le banche fanno parte del sistema Paese e mungerle come intende fare Salvini, quasi per punirle di fare bene il loro lavoro, sembra paradossale e comunque giustificato dalla ravvisata necessità di captare (o raccattare, forse è questo quello di cui parliamo) una manciata di voti in più.
Se saranno costrette a dare un ''contributo'', le banche si troveranno davanti non ad una opzione, ma ad una imposizione. Quindi, almeno oggi, che si dia alle parole il giusto significato. Alle banche non sarà chiesto di contribuire al benessere del Paese, ma glielo si imporrà. E, lo dice l'economia delle famiglie, se qualcosa esce dal portafoglio, bisogna tagliare da qualche parte.