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Sophia Loren, 90 primavere sotto la raffica di cafoni digitali

Barbara Leone
 
Sophia Loren, 90 primavere sotto la raffica di cafoni digitali

C’è qualcosa di profondamente marcio nell’epoca in cui viviamo, e non è solo l’abuso delle caption strappalacrime o l’ossessione per i tiramisù serviti nei barattoli. No, è qualcosa di più grave, più viscerale: l’incapacità collettiva di rispettare la vecchiaia, soprattutto se femmina, e ancor più se celebre. Il caso in questione?
Sophia Loren: sì, QUELLA Sophia, la quintessenza della bellezza italiana, la maschera divina dell’immaginario cinematografico, la donna che persino il tempo ha sempre trattato con garbo. Fino a ieri.

Sophia Loren, 90 primavere sotto la raffica di cafoni digitali

Perché in un mondo che si inginocchia dinanzi a ogni scatto filtrato e ritoccato, sono bastate due fotografie per scatenare il linciaggio. Due, non cento. Due scatti privati, teneri, spontanei. Sophia in cardigan bianco e turbante, elegantemente raccolta nella sua casa svizzera, insieme ad Al Bano (sì, quello col panama incorporato). Due vecchi amici che si prendono un caffè e ridono del tempo che passa. Ma nella fossa dei leoni digitali, questa scena di dolcezza diventa subito macelleria: «Ma è ancora lei?», «Com’era bella una volta», «Meglio ricordarla com’era…».

Come osa, lei, icona globale, mostrarsi così? Senza fondotinta ad alta definizione, senza contouring strategico, senza il Photoshop piazzato come guardia del corpo sulle sue tempie? Come osa esistere, a novant’anni, con la sola colpa di esistere? Il processo è istantaneo, il linciaggio fulmineo. Si aziona il solito plotone di frustrati connessi: giudici improvvisati armati di tastiera, pronti a distribuire sentenze con la ferocia di chi non ha mai guardato davvero il volto di una donna, ma solo il riflesso lucidato da uno schermo. Il tutto, al nuovo grido di battaglia del web è: “Cogito, ergo posto”. Ma non tutto ciò che pensi merita di uscire dal tuo cranio, caro analfabeta emotivo. Meno ancora se lo si fa senza grazia, senza cultura, senza la minima scintilla di quella cosa oggi tanto rara quanto preziosa: l’educazione.

E allora chiediamocelo: perché mai una donna dovrebbe essere eterna nel volto, immutabile nel sorriso, sempre uguale a se stessa come una bambola in teca? Perché la bellezza femminile è sempre e soltanto estetica, mai empatia, memoria, ironia? Perché l’intelligenza di Sophia, la sua capacità di raccontarsi con pudore, di resistere al kitsch, di sottrarsi alla farsa televisiva, non viene mai celebrata? Semplice: perché viviamo nel culto necrofilo dell’apparenza, dove la vecchiaia è una colpa e il tempo un nemico da combattere con aghi, bisturi e filtri liquidi.

Dove anche i complimenti – “è ancora bellissima” – non sono che insulti travestiti da elogi, giacché ribadiscono che il valore di una donna si misura in centimetri di zigomo e in lucentezza di capello. Il paradosso è che nessuno, fra questi commentatori da tastiera, reggerebbe il confronto nemmeno con un’unghia della Loren. Eppure sentenziano, valutano, classificano, come se il loro sguardo avesse qualche rilevanza storica. La verità è un’altra, e non ha bisogno di effetti speciali: Sophia Loren è bellissima, anche oggi, perché non ha ceduto all’osceno teatrino della giovinezza a tutti i costi. Perché ha scelto la discrezione, l’autenticità, la distanza. E non c’è lifting che possa imitare la dignità. Quanto a Daniel Iseli – collezionista di automobili e, evidentemente, anche di scivoloni –, sarebbe stato quantomeno auspicabile un briciolo di sensibilità in più nel maneggiare la memoria altrui. Perché certi scatti non si postano: si custodiscono come reliquie. Si onorano.

Si proteggono dal clamore, non li si getta in pasto al circo social per un pugno di like. E però il vero problema non è il selfie rubato. È la brutalità sistemica con cui trattiamo chi ha il coraggio di invecchiare senza trucchi. È il veleno che riserviamo a chi ci ricorda che il tempo passa, e che l’essere umano, alla fine, non è un avatar. Dovremmo ringraziare Sophia Loren per questa lezione involontaria. Per averci mostrato cosa significhi attraversare il tempo con grazia. Ma noi, popolo ingrato di spettatori volgari, preferiamo schernire ciò che non comprendiamo. In fondo, è molto più facile ridere di una vecchiaia vera che confrontarsi con la nostra paura di invecchiare. E così, mentre insultiamo la Loren, ci prendiamo gioco della nostra stessa fragilità. Dimenticando che sfigurate non sono le donne che invecchiano, ma le società che non sanno più vedere la bellezza nella verità.

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